ROMA – La riapertura dei servizi di ristorazione e l’allentamento delle restrizioni ai viaggi nell’UE, resi possibili grazie al progredire della campagna vaccinale in molti Paesi membri stanno determinando un impatto positivo sulla stagione turistica e sui consumi alimentari dell’UE in generale, riverberando i loro effetti anche a più monte, sul settore primario.
Al netto delle preoccupazioni legate alla variante Delta del Virus covid-19, il quadro che emerge dalle ultime previsioni a breve termine per i mercati agricoli della Ue nel 2021, diffuso a luglio dalla Commissione europea, conferma le prospettive positive delineate nella primavera scorsa, in uno scenario caratterizzato dalla revisione in positivo delle stime di crescita economica dell’Europa, grazie all’atteso rimbalzo dei consumi privati e della domanda estera di beni e servizi dell’UE a partire dal terzo trimestre del 2021 e al ruolo di traino agli investimenti offerto dal programma del NextGenerationEU.
Per l’agricoltura, seppure con le inevitabili differenze tra i diversi comparti, si prevede un’evoluzione positiva dei principali indicatori del mercato.
In particolare, i seminativi sono interessati da una forte progressione dei prezzi, sotto la spinta della domanda cinese di mais e grano e di quella degli Usa di biodiesel. A guidare i rialzi è soprattutto il mais, che nonostante una produzione prossima al record ha visto scendere ai minimi da 8 anni le scorte globali per effetto del boom dell’import cinese (quasi il +300% su base annua). Per il grano (duro e tenero nel suo complesso) le scorte dovrebbero invece rimanere stabili, nonostante il significativo incremento della domanda di alimenti e mangimi, grazie a una produzione mondiale prevista su livelli record per il 2021/22. In Europa si prevedono per questa campagna produttiva circa 288,7 milioni di tonnellate, il 4% in più su base annua. Allo stesso modo, la produzione di semi oleosi e colture proteiche dell’UE potrebbe raggiungere rispettivamente 30,1 milioni di t (+9,5%) e 4,6 milioni di t (+6,7%).
La produzione di olio d’oliva dell’UE si è attestata a 2,1 milioni di tonnellate in aumento del 7% rispetto alla scorsa campagna 2019/2020. La ripresa della domanda Ue, con la riapertura dei pubblici servizi, e la crescita delle esportazioni fuori dai confini comunitari dovrebbero ridurre le scorte di olio al di sotto della soglia delle 400.000 tonnellate. Uno scenario che ha portato ad un aumento generalizzato dei listini, in particolare degli extravergini nei principali areali di produzione di Spagna, Italia e Grecia, che risultano superiori alle medie quinquennali.
Nel periodo ottobre-aprile, l’UE ha esportato il 24% in più di olio verso gli Stati Uniti, compensando abbondantemente le perdite in altri mercati. L’eliminazione delle tariffe di ritorsione (che gravavano sul prodotto spagnolo) dovrebbe aiutare a sostenere ulteriormente questa crescita. La Commissione inoltre prevede una ripresa nei mercati asiatici, che dovrebbe tradursi in un incremento dei quantitativi spediti del 29% rispetto alla media degli ultimi 5 anni.
Per quanto riguarda la prossima campagna olivicola-olearia, dalle prime ricognizioni sembrerebbe che l’ondata di freddo primaverile abbia avuto un impatto limitato sulla fioritura in Spagna, mentre potrebbe aver creato quale problema in Italia (Puglia), dove il repentino calo termico era stato preceduto da alte temperature che avevano innescato una fioritura precoce. Una stima prudente suggerirebbe che il raccolto UE 2021/22 sia paragonabile a quello attuale. L’effetto combinato tra un livello produttivo medio e scorte iniziali basse, dovrebbe continuare a sostenere i prezzi dell’olio d’oliva nell’UE a breve termine.
Relativamente al settore vinicolo, la Commissione prevede una stabilità delle scorte grazie all’effetto congiunto tra crescita produttiva (157 milioni di ettolitri, dato superiore alla media), ripresa del consumo di vino nella Ue, maggiore produzione di distillati (per effetto della misura della distillazione di crisi) e incremento dell’ export. A orientare positivamente le stime sull’export della Commissione (+4% la crescita in volume attesa nella campagna 2020/21 sul 2019/20) sono sia la sospensione dei dazi statunitensi, che hanno colpito soprattutto i vini francesi, sia l’attesa ripresa dei flussi commerciale da e verso il Regno Unito, dopo il crollo nei primi mesi del 2021 (-15% nel periodo gen-aprile) dovuto sia alle difficoltà di tipo amministrativo-burocratico sia alle scorte di prodotto accumulato nel Pre-Brexit. Per quanto riguarda gli altri mercati, le esportazioni verso la Cina sono aumentate in volume (+7%) ma sono diminuite in valore (-15%), mentre le esportazioni verso il Giappone sono diminuite del -9% in volume, ma sono aumentate del 18% in valore.
Per i pomodori, ci si attende una produzione comunitaria in crescita del 5% sul 2020, trainata dai pomodori da industria (+9%). La pressione della domanda e le scorte scarse hanno infatti sostenuto la produzione dei principali paesi produttori: Italia (+5%), Spagna (+17%) e Portogallo (+11%).
La necessità di soddisfare il crescente fabbisogno interno continuerà a imprimere un segno positivo anche alle importazioni di pomodori freschi che sono previste in crescita del 7% sul 2020. Tra i Paesi fornitori, il Marocco rimane di gran lunga la principale fonte di approvvigionamento (con una quota del 70% nel 2020), anche se a registrare la crescita più sostenuta sono state le importazioni dalla Turchia che pesano per circa il 17% e hanno avuto un incremento del 36%.
Le esportazioni dell’UE di pomodori freschi, in calo dal 2013, dovrebbero diminuire ulteriormente nel 2021 e raggiungere un record negativo di 350 mila tonnellate (-21%/2020). Il forte calo è guidato dalla flessione degli invii oltre Manica (-37% in gennaio-aprile 2021 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso), il più grande mercato di esportazione dell’UE (52%).
Annata molto negativa per le pesche e nettarine, con la produzione falcidiata dalle gelate primaverili che hanno danneggiato le gemme in fiore dopo le alte temperature di inizio stagione. Le ultime stime indicano un crollo produttivo del 20% su un 2020 a sua volta caratterizzato da una produzione scarsa e del 27% sulla media degli ultimi 5 anni. Si prevede che la carenza di prodotto fresco inciderà sulla disponibilità di prodotto destinato alla trasformazione e determinerà una riduzione del 36% delle esportazioni di fresco e del 30% di quelle di pesche in scatole ed essiccate.
Per quanto riguarda il comparto lattiero caseario, si sono ridotte le consegne di latte dell’UE in primavera a causa del freddo che ha ritardato il picco stagionale, ma le piogge di maggio hanno ripristinato la qualità e la disponibilità dell’erba nei mesi successivi, portando a una ripresa della crescita della produzione di latte prevista di circa lo 0,8% nel 2021. I prezzi dei prodotti lattiero-caseari nell’UE continuano a migliorare, trainati dalla domanda cinese che guida i prezzi mondiali, e ciò dovrebbe in una certa misura compensare l’aumento dei costi dei mangimi.
Per la carne bovina, le previsioni indicano una contrazione produttiva nell’UE nel 2021, principalmente a causa della riduzione della mandria combinata alla minore domanda dei servizi di ristorazione, mentre le esportazioni verso i mercati ad alto valore dovrebbero continuare ad aumentare grazie ai recenti accordi commerciali (es. Canada, Giappone). È attesa invece in crescita la produzione di carne suina nel 2021, grazie alla produzione aggiuntiva in alcuni paesi dell’UE che ha più che compensato la diminuzione in Germania dovuta alla diffusione della peste suina africana. Sebbene gli invii verso il Regno Unito si siano fortemente ridotti, l’export complessivo di carne suina dell’UE dovrebbe crescere nuovamente nel 2021.
Il quadro è invece piuttosto complesso per le carni avicole, con l’influenza aviaria che sta colpendo i principali produttori di pollame dell’UE e una produzione attesa di conseguenza in calo sul 2020. La domanda non dovrebbe risentire della riapertura dei servizi di ristorazione, e le esportazioni complessive dovrebbero diminuire. Nonostante i prezzi elevati, i margini sono sotto pressione a causa dei costi elevati dei mangimi. Il mercato della carne ovina dell’UE deve far fronte invece a forti carenze di approvvigionamento globale e nazionale (la produzione dell’UE è stabile), portando a prezzi relativamente alti.