BARI – Valorizzare in casa il proprio patrimonio olivicolo, o vendere le olive altrove per garantire un reddito immediato e sicuro ai coltivatori?
Ha fatto discutere il nostro approfondimento dei giorni scorsi sulle olive pugliesi che lasciano la regione di origine, per andare ad ‘arricchire’ il patrimonio olivicolo di altre regioni produttrici del Centro-Nord. (LEGGI Puglia, mille quintali di olive al giorno vanno al Centro-Nord. Cia: Così perdiamo il valore aggiunto della nostra olivicoltura)
Mille quintali di olive al giorno trasportate altrove. Una questione non nuova, ovviamente. “In molti casi – ci aveva informato Giuseppe Creanza, direttore Cia Levante (Bari e BAT) – si tratta degli stessi frantoi pugliesi che acquistano dal produttore locale, olive a 40 euro al quintale, per rivenderle ai frantoi del Centro-Nord a 90 euro al quintale”. Le cause sono i bassi prezzi con cui viene pagato l’olio extravergine d’oliva – 35/40 euro al quintale -; i costi di produzione sempre più alti, senza tralasciare i furti di olive, fenomeno non secondario.
Fra i vari commenti che abbiamo raccolto c’è chi assicura che la quantità esportata è “almeno il triplo” (quindi 3 mila quintali al giorno); c’è chi testimonia che vendere le olive sia più remunerativo per l’azienda anziché produrre olio: “Allora, come si fa? Come si interrompe la catena?”. Ma ci sono anche agricoltori che fanno autocritica: “In Puglia da generazioni gli agricoltori non hanno mai creduto alla propria professione; è stata vista come un’attività di sussistenza. Per questo motivo non si sono mai adoperati per valorizzare il prodotto finale”.
Ma quali sono le alternative?
Probabilmente valorizzare localmente il prodotto, come avviene in altre regioni e come la Puglia stessa, ha fatto – molto bene – con i vini, oggi conosciuti nel mondo per la loro qualità e venduti anche a prezzi (giustamente) ‘importanti’
La strada per la valorizzazione economica dell’olivicoltura pugliese, passa dal far comprendere il valore inestimabile di una tradizione e un’innovazione che da secoli producono bontà, lavoro, cultura, come l’olivicoltura pugliese. Passa dalla biodiversità e dal riconoscere il giusto valore a oli extravergine d’oliva prodotti con varietà diversi, ma accomunati da una elevata qualità.
La Cia Puglia evidenzia il grande patrimonio colturale presente nella prima regione olivicola italiana (rappresenta il 40% di Frantoio Italia).
Sono tonde o leggermente allungate, piccole o giganti, verdi, nere, giallognole e di 100 altre sfumature. Alcune sono da tavola, da altre si producono alcuni tra gli olii extravergini più buoni e antichi del mondo. Sono le olive di Puglia. Anzi, le olive delle Puglie.
Ne esistono di tantissime varietà
Le cultivar pugliesi principali e più diffuse sono 21, a presidiare gli oltre 800 chilometri di costa, a punteggiare di verde l’entroterra, valli e pianure, promontori e colline, parchi nazionali e distese di ulivi monumentali. Sono il simbolo stesso di una regione vasta e plurale, antica e modernissima.
La Puglia può contare anche su quattro DOP assegnate ad altrettanti tipologie di olio: Dauno, Terra di Bari, Colline di Brindisi e Terra d’Otranto.
L’Ogliarola (Barese, Garganica, Salentina) è probabilmente la più diffusa, ma ugualmente presente è la Coratina. Ma poi ce ne sono molte altre, con nomi a volte anche singolari: Bambina di Gravina, Bella di Cerignola, Carolea, Cellina Barese, Cellina di Nardò, Cima di Bitonto, Cima di Mola, Ciliero, Cipressino, Leccina, Leccese, Massafrese, Monopolese, Nasuta, Olivastra, Oliva di Cerignola, Pizzuta, Peranzana, Rotondella, Sant’Agostino, Termite di Bitetto e altre ancora. Un patrimonio immenso. Di fatica, sacrifici, storie, territori, profumi ogni volta diversi, sapori differenti in tavola e in una bottiglia. In questi giorni, come ogni anno, si parla di prezzi.
“Prezzi che, nella stragrande maggioranza dei casi – conclude la Cia Puglia -, non rispecchiano né il valore reale di olive e olio pugliesi, né il ruolo, l’eccellenza, gli sforzi e il lavoro delle nostre aziende olivicole. Su questo, la strada da fare è purtroppo ancora lunga”.