RAVENNA – “La strada è già delineata. O la nostra zootecnia si integra con l’agricoltura per riuscire a raggiungere un’autosufficienza mangimistica, soprattutto nei confronti delle proteine, o sarà destinata a chiudere”.
Gianluca Bagnara, presidente di AIFE/Filiera Italiana Foraggi, non ha dubbi e all’indomani della discussione in Commissione Ue sul Regolamento che intende mettere al bando l’importazione di prodotti provenienti da Paesi terzi deforestati, tra cui la soia, ribadisce con forza un concetto in cui crede e che gli sta particolarmente a cuore: favorire e incentivare il legame tra agricoltura e zootecnia.
“Con una quota di proteine vegetali importate pari al 75% – sottolinea Bagnara – l’Europa si colloca in una posizione di dipendenza che è anche un paradosso: da una parte infatti proibisce agli Stati membri le coltivazioni ogm, dall’altra però si approvvigiona di colture come mais e soia provenienti in gran parte da oltreoceano, dove sappiamo che invece questo divieto non esiste. E non si tratta di quantitativi modesti, visto che solo per il mais l’import arriva al 50%. Se poi queste produzioni, oltre a essere ogm, provengono da territori deforestati il paradosso si trasforma in ipocrisia proprio in un periodo in cui la tutela dell’ambiente e gli effetti disastrosi dei cambiamenti climatici sono il tema al centro del dibattito internazionale”.
È in questo contesto che la spinta verso la produzione di leguminose foraggere, erba medica in particolare, assume un ruolo di grande importanza.
“La Pac che entrerà in vigore il 1 gennaio 2023 – continua il presidente di AIFE/Filiera Italiana Foraggi – dovrà prevedere un adeguato Piano europeo delle proteine che ci affranchi gradualmente dalla dipendenza di colture che oggi più che mai rappresentano delle commodity. Lo vediamo dalle impennate dei prezzi che stanno caratterizzando questi ultimi periodi con effetti speculativi difficili da gestire, spesso unicamente capaci di lusingare gli agricoltori che lecitamente e naturalmente vedono in queste produzioni la fonte di più facili guadagni. Se questo può rappresentare un vantaggio nell’immediato per la redditività delle aziende agricole, non può esserlo per l’agricoltura in generale e quel bisogno di legarsi alla zootecnia che io ritengo fondamentale. Il motivo è molto semplice. Decenni di pratiche monocolturali hanno fatto emergere tutti i limiti e i problemi che ne derivano a iniziare, per il mais, dall’insorgenza di aflatossine, senza sottovalutare altri e non meno importanti problemi fitosanitari. La rotazione colturale, invece, non solo fa bene al terreno, ma con una coltura con le caratteristiche dell’erba medica l’apporto idrico si riduce, al pari delle emissioni di CO2 equivalenti con un indubbio beneficio ambientale. Il progetto MediC-A-Rbonio che AIFE/Filiera Italiana Foraggi sta portando avanti con la collaborazione scientifica del Centro ricerche produzioni animali di Reggio Emilia lo testimonierà.
Il progetto infatti, partito verso la fine dello scorso anno e giunto alla metà del suo percorso, si concentra sull’analisi di una serie di plus di compatibilità ambientale dei foraggi prodotti e commercializzati dai soci AIFE/Filiera Italiana Foraggi per valutare l’impronta di carbonio nel terreno e ottenere successivamente la certificazione made green in Italy, riconoscimento rilasciato dal ministero della Transizione ecologica al quale abbiamo presentato la relativa domanda nello scorso mese di agosto. Si tratta di un’iniziativa molto importante che non solo ci permetterà di stabilire l’impronta di carbonio presente nei terreni dove si pratica la rotazione colturale con erba medica, ma sarà fondamentale proprio per valorizzare la sostenibilità dei nostri terreni e dei luoghi di coltivazione, con un indubbio vantaggio per la competitività del prodotto”.
Quali le prospettive? “Le norme ambientali previste dalla nuova Pac impatteranno pesantemente sull’intera zootecnia nazionale – conclude Bagnara – è quindi importante che si proceda con un’adeguata programmazione perché il nuovo documento di politica agricola comune non dovrà essere visto come uno strumento che quantifica le pratiche, bensì come un mezzo che individua le strade da percorrere per sostenere la nostra zootecnia. E in questa cornice non si può che partire dalla rotazione colturale”.
Sono 30 gli impianti di trasformazione che fanno capo ad AIFE/Filiera Italiana Foraggi a cui viene conferita l’erba medica prodotta su 90mila ettari di terreno distribuiti tra Emilia Romagna, Marche, Veneto, Lombardia, Lazio, Umbria, Toscana e Abruzzo, con una produzione che sfiora 1 milione di tonnellate/anno, quasi il 90% della filiera italiana dei foraggi essiccati e disidratati.
In termini occupazionali AIFE – Filiera Italiana Foraggi dà lavoro a circa 13.500 persone suddivise in 1.500 dipendenti, 8.000 agricoltori e 4.000 tra terzisti e fornitori, con un giro d’affari che tra filiera e indotto raggiunge un fatturato medio di circa 450milioni di euro all’anno.