VERONA – L’esplosione della pandemia ha lasciato il segno anche sul mercato fondiario del territorio veronese, con una contrazione dell’attività di compravendita legata sia al calo di liquidità, sia alle restrizioni agli spostamenti. Tuttavia le quotazioni dei terreni sono rimaste stabili, pur con differenze sostanziali a seconda delle zone.
Dall’indagine annuale sul mercato fondiario curata dal Crea – Centro politiche e bioeconomia emerge, infatti, che le quotazioni più alte sono raggiunte dai vigneti del Valpolicella, con terreni che possono raggiungere i 600.000 euro a ettaro. Nelle colline a Est (Progno-Val D’Alpone) il valore medio dei vigneti è di poco inferiore a 200.000 euro a ettaro. Più contenuti i prezzi dei terreni in pianura, soprattutto se si tratta di seminativi, che pagano lo scotto della bassa redditività.
Nella parte settentrionale della pianura le quotazioni migliori, con 60.000 euro a ettaro, mentre si abbassano nella Pianura del Tartaro, assestandosi intorno a 45.000 euro a ettaro, calando ulteriormente nella parte meridionale (territorio di Legnago) con valori anche inferiori a 30.000 euro a ettaro. Un fattore determinante è la dimensione delle compravendite: in presenza di grandi superfici i valori possono essere superiori alla media, mentre le piccole proprietà spuntano prezzi al di sotto delle quotazioni medie.
“Complessivamente, nonostante il Covid, a Verona c’è stata una discreta tenuta dei prezzi – spiega Alberto De Togni, presidente di Confagricoltura Verona -. Non sono stati ancora recuperati i valori di dieci anni fa, che erano molto più consistenti, ma in questo momento c’è comunque una certa stabilità. In pianura i valori sono perlopiù legati alla redditività delle colture, basti dire che il momento incerto dei seminativi condiziona anche quello dei terreni. Anche i frutteti con impianti vecchi e tecniche superate, che non prevedono ad esempio la raccolta a terra, spuntano quotazioni basse. Più alti i prezzi nelle zone collinari, con le quotazioni migliori nelle zone viticole doc: nelle terre dell’Amarone si vocifera perfino di campi quotati un milione a ettaro. In leggera contrazione il mercato degli affitti, sempre in conseguenza della bassa redditività dei cereali. Va un po’ meglio l’affitto dei terreni destinati a produzione di biomasse per i digestori che producono gas ed energia elettrica. Parliamo di un’oscillazione tra 700 e 1.000 euro annui a ettaro, comprensivi del premio Pac. Solo per alcune nicchie, come i vivai di piante da frutto, piccoli frutti o tabacco, i prezzi volano a quota 1.500 euro annui a ettaro”.
Per quanto riguarda la riduzione delle contrattazioni, gli operatori economici concordano nel ritenere che il Covid sia il principale responsabile sia per le restrizioni agli spostamenti, sia per la sensazione di incertezza dovuta al quadro economico, che frena gli investimenti. A causa delle restrizioni e dei lockdown, infatti, gli operatori hanno avuto difficoltà a incontrarsi e perfezionare gli accordi preliminari. Anche la mancanza di liquidità ha rallentato le contrattazioni, soprattutto per le produzioni più legate agli effetti delle chiusure, come florovivaisti e agriturismi. Secondo le statistiche del Consiglio nazionale del notariato, il numero di atti di compravendita in Italia riguardanti terreni agricoli, conclusi nel 2020, è diminuito del 8,4% rispetto al 2019, invertendo una tendenza positiva che durava dal 2014. Ridotto in maniera significativa anche il valore monetario delle transazioni, che si ferma a 4,8 miliardi di euro (-21% rispetto al 2019). Battuta d’arresto anche sul fronte del credito per l’acquisto di immobili in agricoltura che, secondo la Banca d’Italia, ha visto nel 2020 erogazioni pari a 319 milioni di euro, con un calo del 42% rispetto al 2019.