ROMA – Depositati oggi gli emendamenti di modifica legati al vino nel report della Commissione Beca (Beating cancer), al voto del Parlamento europeo in sessione plenaria a Strasburgo il prossimo 15 febbraio.
Le proposte di modifica riguardano in particolare la differenza tra consumo moderato e abuso di alcol quale fattore di rischio, la revisione del concetto di “no-safe level” (nessun livello sicuro di consumo) per il vino e della proposta sugli avvisi salutistici, modello sigarette.
“Supportiamo – ha detto il vicepresidente Unione italiana vini e presidente dell’Associazione europea Wine in moderation, Sandro Sartor – le proposte migliorative presentate dagli eurodeputati. Il primo obiettivo è quello di evitare che il 15 febbraio diventi una data spartiacque per il futuro del vino italiano ed europeo e gli emendamenti proposti, prioritari ma decisivi, vanno in questa direzione. Senza la fondamentale distinzione tra consumo e abuso, tra diversi contesti e modelli di consumo – ha concluso Sartor – lo scenario che si delineerebbe per il settore sarebbe disastroso sul piano socio-economico”.
Secondo Uiv, senza gli emendamenti al testo il vino subirebbe nel medio-lungo termine un effetto tsunami solo in parte calcolabile.
La contrazione dei consumi stimata è attorno al 25/30% ma ancora maggiore sarebbe quella del fatturato del settore, che calerebbe del 35% per un equivalente di quasi 5 miliardi di euro l’anno. Senza considerare i danni agli asset investiti – dalle cantine ai vigneti alle stesse aziende – che si svaluteranno di pari passo e i danni all’indotto. Ma il gioco a perdere si rifletterà molto anche sui consumatori, costretti a pagare di più a fronte di una minore qualità. La riduzione dei contributi porterà infatti all’aumento dei costi di produzione; al contempo però si assisterà a un appiattimento della qualità, a una riduzione del valore medio del vino alla cantina ma paradossalmente a un aumento allo scaffale, a causa delle maggiori accise.
Inoltre, la difficoltà a lavorare sui brand, anche a causa dei veti alla promozione, porterà progressivamente a un proliferare di etichette prive di marchi: private label che deprimeranno la diversificazione dell’offerta data in particolare dai piccoli produttori artigianali con minori economie di scala, ma anche dalle imprese medie che fondano su qualità e politiche di branding l’attuale fortuna del vino tricolore.
Complessivamente si stima una contrazione del margine lordo alla produzione del 50%, con migliaia di aziende agricole che scompariranno. Uno scenario, secondo Uiv, che si farà grigio anche in chiave turistica nelle campagne italiane (con l’enoturismo che da solo vale 2,5 miliardi l’anno); ma soprattutto lo svilimento del vino – simbolo dello stile di vita “made in Italy” e ingrediente irrinunciabile nella Dieta mediterranea – sarà un danno d’immagine incalcolabile per il Belpaese.