MILANO – Il settore suinicolo è oggi in bilico tra due fortissime tensioni: da un lato l’aumento dei costi di produzione di tutti gli anelli della filiera aggravato dalle difficoltà di approvvigionamento di materie prime conseguenti il conflitto in atto e che rischia di innescare una spirale inflattiva verso l’alto molto velocemente, dall’altro la consapevolezza che i vincoli di portafoglio dei singoli attori del mercato – non da ultimo del consumatore finale – possono produrre una riduzione dei consumi anche sensibile. I margini operativi, secondo Assica, già fortemente compressi dalla crisi della materia prima del 2019, dalle limitazioni commerciali sui mercati nazionale ed esteri nel 2020 a causa della pandemia da Covid-19 e solo parzialmente ristorati da un accenno di ripresa nel 2021, stanno subendo ulteriori fortissime pressioni, mettendo a dura prova la tenuta delle aziende del settore.
“L’undici marzo scorso abbiamo chiesto al Ministro Patuanelli la convocazione urgente del tavolo di filiera suinicolo, esteso a rappresentanti del mondo mangimistico e della Distribuzione senza ottenere alcuna risposta; la situazione, nel frattempo, si aggrava di settimana in settimana e impone un confronto con ancora maggiore urgenza.” – ha affermato Ruggero Lenti, Presidente di ASSICA.
Le condizioni dei rapporti di mercato stanno vivendo un deterioramento determinato dalla lunga esposizione a incrementi vertiginosi dei costi, primo fra tutti quello dell’energia, che le aziende non possono sostenere ancora a lungo. “Oltre all’analisi della situazione resa critica dal drammatico conflitto russo-ucraino, che il Ministero ha svolto con cura, è indispensabile far sedere attorno a un tavolo tutti gli attori della filiera suinicola, perché si prenda coscienza con oggettività della situazione attuale e si tracci con reciproca consapevolezza un percorso per tentare di attraversare questo periodo che si preannuncia non breve- ha proseguito Lenti.
L’aumento dei costi dei fattori di produzione è indubbiamente un problema che incide su tutto l’agroalimentare nazionale, ma la filiera suinicola, in particolare le aziende di macellazione e i salumifici, deve al contempo fronteggiare un altro importante fattore di perdita della redditività: la presenza della Peste Suina Africana (PSA) sul territorio continentale italiano. Una deprecabile eventualità che da gennaio 2022 ha portato alla perdita di circa 20 milioni di euro al mese di export che espone le aziende al rischio di ulteriori danni se la malattia veterinaria, che non colpisce l’uomo, dovesse diffondersi in altri territori a maggior intensità di allevamenti suinicoli: un’eventualità che metterebbe a rischio la stessa possibilità di produrre, tra le altre, le pregiate DOP di Parma e San Daniele, simbolo della salumeria Made in Italy nel mondo.
Ma c’è di più. Anche l’approvazione della nuova norma sulle pratiche sleali ha posto un elemento di conflittualità tra fornitori e clienti: rispetto al precedente testo sono venuti meno i parametri scritti che esplicitano che i salumi sono tra i prodotti soggetti a pagamento breve a 30 giorni (di fatto 60 con la logica del fine mese), sostituendo tale elencazione di prodotti con una più generica previsione sulla deperibilità. Questo ha spinto gli operatori acquirenti a considerare ammissibile passare i salumi ad un pagamento a 60 giorni (dunque 90) senza che nulla sia mutato nei prodotti: si tratta degli stessi salumi, confezionati e prodotti nello stesso modo di sempre.
“Questa ulteriore richiesta non è accettabile: non possiamo ammettere che ciò che è stato considerato pratica sleale per oltre 10 anni (pagare i salumi a più di 30 giorni) diventi la normalità. Non possiamo permetterci come salumifici né possiamo permetterlo per la filiera: macelli e allevatori vengono pagati entro 30 giorni, a volte meno, serve mantenere liquidità in filiera. Occorre sederci al tavolo di filiera con i nostri partner subito, non possiamo tollerare oltre le accuse ingiustificate che vengono mosse in maniera insensata alle aziende di macellazione e ai salumifici. È indispensabile e non più rinviabile che tutti gli operatori si confrontino in una sede istituzionale, non per puntarsi contro il dito in modo assolutamente sterile e inutile, ma piuttosto per definire interventi, proposte condivise, tempi e modi della loro attuazione col supporto mai venuto meno del dicastero agroalimentare e di tutto il governo” – ha ribadito il Presidente di Assica.
C’è la consapevolezza che nessuno possegga la formula magica per risolvere tutti i problemi, ma parlarne e affrontarli deve essere fatto con maturità e urgenza da parte di tutti. Alcune proposte sono già state formulate e altre possono essere poste sul tavolo per iniziare a dotare la filiera di strumenti adeguati: aiuti alla riduzione del costo di produzione dei mangimi devono essere accompagnati da una generalizzata riduzione estesa degli oneri energetici per disinnescare la spirale inflattiva. Interventi sui prezzi di cessione per un loro adeguamento al rialzo devono essere fatti, ma altrettanto bisogna che il governo allenti la pressione sul portafoglio del consumatore riducendo l’IVA come indicato dall’Unione Europea e anche gli altri oneri che gravano sul bilancio familiare il più possibile. Molto può essere fatto, infine, anche intervenendo ove possibile a riduzione degli oneri doganali di import/export per favorire una più semplice movimentazione degli scarsi fattori di produzione di cui il nostro Paese è strutturalmente deficitario. Nel mentre si attuino politiche di aumento della capacità produttiva agricola; politiche che richiedono inevitabilmente diversi mesi, connessi ai ritmi naturali di coltivazione; mesi che non possono però trascorrere privi di azioni immediate per salvaguardare la filiera.