LUSSEMBURGO – Un attestato emesso dalle autorità di uno Stato terzo sulla conformità di una partita di vino alle pratiche enologiche dell’Unione non costituisce, di per sé, una prova del rispetto di tali pratiche per la sua commercializzazione nell’Unione. Se, nonostante il rilascio di tale attestato, dette pratiche non sono state rispettate, l’onere della prova circa la sussistenza di responsabilità in capo al commerciante non può essere trasferito sulle autorità degli Stati membri
Nel gennaio 2016, le autorità ceche hanno inflitto una sanzione di importo pari a 2 100 000 corone ceche (CZK) (circa EUR 80 000) all’impresa ceca Vinařství U Kapličky a causa dell’immissione in circolazione da parte di quest’ultima, nella Repubblica ceca, di partite di vino importate dalla Moldavia che non erano conformi alle pratiche enologiche dell’Unione. La Vinařství U Kapličky ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi alla Corte regionale di Brno, facendo valere, in particolare, che essa avrebbe dovuto essere esonerata dalla responsabilità per l’illecito in questione, in quanto le autorità moldave avevano certificato che le partite di vino interessate erano conformi a tali pratiche.
Il suddetto organo giurisdizionale chiede alla Corte di giustizia se, alla luce del regolamento sui prodotti agricoli, l’attestato rilasciato dalle autorità moldave sia rilevante ai fini della valutazione della conformità delle partite di vino in questione alle pratiche enologiche summenzionate. Esso chiede inoltre se, nell’ipotesi in cui emerga che, nonostante il rilascio di un simile attestato, tali pratiche non sono state rispettate, la normativa ceca che fa gravare sulle autorità nazionali l’onere di provare la sussistenza di una responsabilità in capo al commerciante per la violazione delle norme applicabili alla commercializzazione sia compatibile con il regolamento sul finanziamento della politica agricola comune (PAC).
Con l’odierna sentenza, la Corte constata che l’attestato redatto dalle autorità moldave è destinato proprio ad essere consegnato alle autorità dello Stato membro di importazione all’atto dell’espletamento delle formalità doganali necessarie per l’importazione nell’Unione della partita interessata. Ciò posto, le pratiche enologiche dell’Unione devono essere rispettate non soltanto ai fini dell’importazione della partita, ma anche ai fini della sua commercializzazione nell’Unione. Orbene, se è vero che l’attestato summenzionato presenta una certa rilevanza anche per la commercializzazione della partita interessata, esso tuttavia non costituisce, di per sé, una prova del rispetto di dette pratiche a tal fine. Da un lato, infatti, il legislatore dell’Unione non ha conferito a detto attestato un simile effetto e, dall’altro, la non conformità di una partita di vino alle pratiche enologiche dell’Unione può risultare da circostanze successive al rilascio dell’attestato, le quali potrebbero verificarsi, in particolare, nell’ambito del trasporto della partita.
Pertanto, una persona che ha commercializzato partite di vino non conformi alle norme applicabili alla commercializzazione non può validamente presumere di essersi conformata a tali norme per il solo fatto di disporre dell’attestato rilasciato dallo Stato terzo di esportazione. Poiché, in forza del regolamento sul finanziamento della PAC, spetta a tale persona provare, per evitare l’imposizione delle sanzioni applicabili, di non essere incorsa in responsabilità non rispettando tali norme, una normativa nazionale che faccia gravare tale onere della prova sulle autorità nazionali non è compatibile con detto regolamento.
Il testo integrale della sentenza è pubblicato sul sito CURIA il giorno della pronuncia.