ROMA – Sono circa 200 i Paesi e 1 miliardo le persone interessate dal processo di desertificazione nel mondo; tra quelli, in cui il fenomeno va manifestandosi più rapidamente, si annoverano Cina, India, Pakistan e diverse Nazioni di Africa, America Latina, Medio-Oriente, ma anche dell’Europa mediterranea come Portogallo, Spagna, Grecia, Cipro, Malta ed, in maniera sempre più evidente, Italia. “Sono questi dati a certificare la fondamentale funzione non solo agricola, ma anche ambientale, dell’irrigazione nei Paesi del Sud del Continente. Da qui, l’importanza dell’azione svolta in sede comunitaria da Irrigants d’Europe” ricorda Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI) in occasione della Giornata Mondiale contro la Desertificazione e la Siccità.
L’analisi, condotta su due serie storiche distinte (1990 e 2000) nel nostro Paese e ricordata dall’Osservatorio ANBI sulle Risorse Idriche, evidenzia che circa il 70% della superficie della Sicilia presenta un grado medio-alto di vulnerabilità ambientale; seguono: Molise (58%), Puglia (57%), Basilicata (55%). Sei regioni (Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania) presentano una percentuale di territorio a rischio desertificazione, compresa fra il 30% e il 50%, mentre altre 7 (Calabria, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Veneto e Piemonte) sono fra il 10% ed il 25%.
“E’ evidente che, in questa situazione e senza un’adeguata infrastrutturazione idrica, l’applicazione dei parametri attualmente previsti dalla normativa europea sul Deflusso Ecologico, sarebbe stata disastrosa per l’economia e l’ambiente di ampie zone del Paese. Da qui la deroga di due anni, decisa dal Parlamento, cui va il nostro grazie” aggiunge il Presidente di ANBI.
In Spagna, la desertificazione interessa ormai il 72% del territorio, in particolare nella zona oggi conosciuta come il “mare di plastica”, cioè l’area delle serre nel Sud del Paese, dove viene praticata un’agricoltura intensiva estrema, con un grande uso dell’acqua di falda. In Grecia si stima che, entro la fine del secolo, almeno il 70% del territorio diventerà arido.
L’ONU stima che nel mondo sia già compromessa una superficie ampia tra 1 e 6 miliardi di ettari e che, nel prossimo futuro, circa 200 milioni di persone saranno costrette a lasciare le proprie terre verso regioni più vivibili; tra le cause principali della desertificazione vi è l’estremizzazione dei fenomeni climatici e conseguentemente l’aridità provocata da fenomeni siccitosi prolungati, ma anche da precipitazioni brevi e violente, che non ristorano, ma erodono il primo strato più fertile di suolo sui terreni assetati.
Colpevole del degrado dei suoli è anche l’abbandono delle aree coltivate. Esemplare è il caso delle tempeste di sabbia, che hanno colpito in mesi recenti Siria, Iraq (da Aprile ve ne sono state già ben 6 con migliaia di ricoveri ospedalieri per malattie respiratorie) ed altri Paesi confinanti. Tali evenienze non hanno origine, come altresì in passato, dal deserto egiziano e dal Sahara, ma si tratta probabilmente di eventi climatici, favoriti da quanto avvenuto negli ultimi anni nei due Paesi, cioè l’abbandono delle terre coltivate e lo spopolamento dei campi (causa guerra ed eventi siccitosi estremi ) con la conseguente mancanza di quel freno naturale alla sabbia, che erano le coltivazioni. Si prevede che in Iraq, entro il 2050, potrebbero esserci tempeste di sabbia per 300 giorni all’anno.
“Deserto e desertificazione sono termini, che spesso vengono confusi – precisa in conclusione, Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI – Secondo una definizione, la desertificazione è un processo lento ed in qualche modo irreversibile di riduzione o distruzione del potenziale biologico del suolo, legato a diversi fattori come il clima, le proprietà del suolo e soprattutto le attività umane. In Italia, siccità straordinarie si stanno ripetendo con intervalli di tempo sempre più ravvicinati e le analisi dimostrano come ci vogliano anni per tornare alla normalizzazione dei regimi idrici. Pur in assenza di importanti interventi di contrasto come la legge contro l’indiscriminato consumo di suolo od il Piano Laghetti, proposto da ANBI e Coldiretti, si tende tuttavia a non utilizzare più la parola irreversibile. Accontentiamoci…” conclude amaramente il DG di ANBI.