ALTAMURA (BA) – Qualche giorno fa la Borsa Merci di Foggia è stata disertata (oggi invece si è svolta leggi). Quello del prezzo del grano sta diventando sempre di più un problema per gli agricoltori, come spesso succede anello debole della filiera, schiacciati tra commercianti e trasformatori.
Mettici in mezzo false notizie, congiunture geopolitiche e speculazioni, il gioco è fatto.
Agricultura.it ha sentito il parere di un agronomo libero professionista, collaboratore del CAA LP di Torino (Centro di Assistenza Agricola dei Liberi Professionisti), il Dott. Antonio Lauriero, che dalla Puglia sta seguendo in questi giorni l’evoluzione dei prezzi.
“Ad inizio raccolto il prezzo del grano è arrivato a 59 euro/quintale, lo scorso anno si è raggiunto un prezzo di 50-54 €/q. Il prezzo attuale è lontano dalla sostenibilità economica considerando che per gli agricoltori il costo di produzione è cresciuto di circa il 35%. Nei giorni scorsi siamo scesi a 51 euro/q, ma la curva potrebbe ancora scendere”.
A cosa è dovuto questo fenomeno secondo lei?
“Sicuramente diversi sono i fattori. Certo l’attuale incertezza di reperimento della materia prima non aiuta. A questo proposito si sono create anche false notizie, come quella della previsione di un raddoppio della produzione di grano duro del Canda. Distrazioni per il mercato che hanno portato alcuni agricoltori, magari in debito di liquidità, a vendere frettolosamente il grano duro con margini risicati o sotto costo”.
C’è poi sempre il problema del gap tra primario e trasformazione.
“Gli agricoltori da questa situazione devono imparare a concordare prima un prezzo minimo di vendita con i commercianti e i trasformatori, non sono più tempi in cui si vive alla giornata e questo è il momento per farlo”.
Un prezzo equo quale potrebbe essere?
“Alla luce del rincaro dei costi di produzione secondo me non meno di 65 euro/quintale, ma anche 70”.
Quindi quale sarà a questo punto il futuro dei cerealicoltori, almeno in Puglia?
“Intanto si stanno organizzando delle manifestazioni di piazza. Il mio consiglio è attualmente di non svendere il prodotto, oltre a cominciare a ragionare su accordi pre-raccolto che possano quanto meno garantire la copertura delle spese di produzione e un minimo margine di guadagno in entrata per gli agricoltori”.
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