ROMA – La sete è un bisogno e la carenza d’acqua vecchia come il mondo. Così come la necessità di produrre più cibo per fare fronte a una popolazione in continuo aumento.
I dati di questi giorni confermano l’evidenza di un fenomeno che non è ciclico, ma è diventato una priorità. Come sottolineato dalla FAO al G20, un miliardo di ettari di terreni agricoli soggetti a gravi vincoli idrici e 800 milioni di ettari coltivati e pascoli pluviali sono ormai colpiti da siccità ricorrente. Da cui l’urgenza di attuare a livello globale una serie di misure che facciano leva su tecnologie e norme già esistenti per rendere più efficiente l’uso dell’acqua in agricoltura. E questo per ridurre perdite e sprechi alimentari che, secondo le stime dello stesso Organismo delle Nazioni Unite, potrebbero sfamare quasi 1,3 miliardi di persone l’anno.
Il problema non è nuovo, ma ora è drammaticamente urgente. Da agronomo di formazione, da quasi cinquant’anni conosco cause e concause che toccano da vicino anche le nostre aree mediterranee e l’Italia in particolare. Con una fertile pianura padana, ad esempio, che garantisce materie prime agricole grazie alle acque convogliate da fiumi importanti, a cominciare dal Po, ma anche da opere di ingegneria idraulica realizzate con perizia per servire usi agricoli e civici. Penso ai canali Villoresi, in Lombardia, piuttosto che alla diga di Ridracoli, per citarne alcune. Come però riferisce anche l’Istat, la siccità di questo 2022 si presenta più intensa, prolungata e diffusa, come mai era accaduto dagli anni Ottanta del secolo scorso.
Oltre all’acqua, in agricoltura devono essere utilizzati in modo più accorto i fertilizzanti, ricorrendo a una ridistribuzione tecnologica e scientifica delle applicazioni. Attraverso processi produttivi supportati dall’implementazione di mappe dettagliate dei suoli per aiutare i paesi più vulnerabili a utilizzare i loro concimi in modo efficiente.
Il Rapporto annuale divulgato in questi giorni dall’Istituto di statistica evidenzia l’effetto dei cambiamenti climatici e le vulnerabilità strutturali del sistema irriguo. Ma anche gli effetti significativi che un eventuale razionamento nelle aree più colpite dalla siccità avrebbe prima di tutto sul settore agricolo e sull’uso civile, che assorbono rispettivamente il 50 e il 36% dei consumi idrici.
Ora, come sottolinea l’Istat, nel quadro delle misure per la tutela del territorio e della risorsa idrica, il Piano nazionale di rilancio e resilienza destina 4,38 miliardi alla gestione sostenibile delle risorse idriche lungo l’intero ciclo, con l’obiettivo di migliorare la qualità ambientale delle acque marine e interne. Risorse, che come evidenzia il Rapporto, sono fondamentali per iniziare un profondo rinnovamento infrastrutturale e gestionale. Al quale, aggiungiamo noi, dovrà comunque essere affiancata una normativa europea sulle nuove biotecnologie che sgomberi il campo, una volta per tutte, sulla necessità di mettere a punto e commercializzare con metodi naturali nuove varietà di piante resistenti anche alla carenza d’acqua.