MILANO – L’economia circolare è un modello di produzione e consumo che implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile. In questo modo si estende il ciclo di vita dei prodotti, contribuendo a ridurre i rifiuti al minimo. E’ questa la definizione che l’Unione Europea dà di questo fenomeno di cui si parla da tanti anni e che oggi più che mai sembra una delle soluzioni principali per il Governo di tanti stati internazionali. Il DiSAA della Università Statale di Milano sta lavorando per migliorare la circolarità delle produzioni. Lo dimostra anche il suo ruolo da coordinatore delle attività di ricerca del Centro Nazionale Agitech in tema di economia circolare. Il professor Giorgio Provolo, docente ordinario di Costruzioni Rurali e Gestione Sostenibile dei reflui zootecnici, è uno dei massimi esperti in materia.
Un meccanismo circolare: cosa è nella sostanza?
Per esempio, ci sono delle tecniche per la gestione dei fertilizzanti, dei pesticidi e di materie prime utilizzate in agricoltura che ne minimizzano l’uso e riducono così gli sprechi. Esistono meccanismi per il riutilizzo dei sottoprodotti, volti alla produzione di energia e recupero di nutrienti.
D’altronde è nel DNA degli agricoltori utilizzare tutto.
Stiamo andando verso un tipo di società che richiede la riduzione degli input e al tempo stesso un aumento dell’efficienza produttiva, con una riduzione degli scarti. Questo significa che dobbiamo capire come valorizzare i rifiuti rimettendoli in circolo come materie prime, oppure trattare questi materiali per ottenere energia.
È un tema molto sentito, anche a livello europeo.
C’è stato un lungo periodo in cui l’utilizzo risorse naturali è stato modesto. Una grande accelerazione si è verificata nel secondo dopoguerra quando il problema principale era soddisfare il fabbisogno alimentare della popolazione. Anche su questo è nata la comunità europea. Poi però, c’è stato lo sviluppo industriale e abbiamo cominciato a produrre troppo talvolta con un utilizzo indiscriminato delle risorse.
Il boom degni anni ’80 e l’inizio della società consumistica.
Oggi abbiamo superato questa fase e cerchiamo sempre di più di progettare per il riutilizzo. Pensa alle macchine. Ad oggi si progettano pensando già a come, a fine vita, si potranno smontare per recuperarne le singole parti. Per esempio i telefoni cellulari, molti di questi componenti sono costituiti da materiali rari che si trovano in poche miniere al mondo. L’Unione Europea sta puntando molto sulla circular economy. Pensa al Green Deal e alla strategia From Farm to Fork il cui accento è proprio sulla circular economy.
Dovevamo arrivare a questa situazione emergenziale dal punto di vista climatico e ambientale per capire l’importanza del riutilizzo?
Beh se ne conosceva già la rilevanza ma non ci si preoccupava per via dell’abbondanza di risorse. La disponibilità, a basso costo, di materie prime ti spinge ad utilizzarle di più.
Con la benzina a 2 euro al litro e ci penso due volte prima di prendere la macchina.
Beh con i fertilizzanti vale lo stesso discorso.
Nella strategia From Farm to Fork la riduzione dei fertilizzanti è menzionata esplicitamente.
Bisogna utilizzarne di meno e aumentarne l’efficienza. Anche perché il costo dei fertilizzanti è legato anche al costo dell’energia. E con i prezzi attuali…
Insomma, tutto è collegato
Si, pensa che molti agricoltori ora utilizzano i liquami al posto dei fertilizzanti. Poco tempo fa non era così ma oggi è di gran lunga la soluzione più economica.
Di necessità virtù…
In molte zone del Nord Italia si è sviluppato molto l’allevamento zootecnico e il numero di animali è diventato molto più elevato rispetto a quello che poteva essere in equilibrio con il terreno. Di conseguenza, la quantità di effluenti e i nutrienti è molto più alta di quello che possono utilizzare le colture.
Di qui il problema di cosa fare con questo surplus.
In molti casi gli effluenti vengono sprecati. L’obiettivo è capire come gestirli nel migliore dei modi al fine di ridurre automaticamente le perdite verso l’ambiente. Un tempo l’intero sistema era in equilibrio. Gli animali mangiavano quello che veniva prodotto nel territorio circostante. Le aziende non avevano mercato esterno e dunque gli animali mangiavano ciò che era prodotto localmente. Gli effluenti tornavano al terreno che li aveva prodotti e si chiudeva così il circolo della fertilità.
Cosa è cambiato ora?
L’apertura dei mercati ha completamente scardinato il modello appena descritto. La maggior parte della fonte proteica, per esempio la soia, destinata all’allevamento ora viene prevalentemente dalle Americhe.
Che succede quindi?
Noi compriamo proteine, e quindi azoto che ci troviamo a dover gestire e smaltire. Gli animali trattengono appena il 30% di quello che mangiano. Di conseguenza, mangiando 100 mi trovo a dover gestire uno scarto che è pari a 70.
Quindi in sostanza abbiamo un extra da smaltire, che si accumula e che dobbiamo imparare a riutilizzare.
Gli effluenti non sono solo una fonte di nutrienti. Per esempio si possono valorizzare dal punto di vista energetico visto che tutta la sostanza organica è energia. Una opzione è produrre biogas. Non dimentichiamoci che la produzione di energia dagli scarti può anche rappresentare un reddito economico per un’azienda.
In questo caso si unisce sostenibilità ambientale con sostenibilità economica.
Che è altrettanto importante. In alcuni contesti si tende a considerare solo l’aspetto ambientale ma non dobbiamo scordarci che se non riusciamo a mantenere anche la sostenibilità economica distruggiamo il nostro territorio. In Lombardia c’è un patrimonio agricolo-zootecnico di inestimabile valore. Pensare a un contesto come quello lombardo senza allevamenti vuol dire far crollare l’intera gestione del territorio.
Fino a qualche anno fa si diceva perché coltivare se si può comprare dall’estero? Ora credo che gli ultimi risvolti geopolitici facciano riflettere in questo senso.
Attenzione però, perché noi uomini abbiamo la memoria corta. Sicurezza alimentare vuol dire essere sicuri di disporre di prodotti di qualità e che consentono di avere elevati valori nutritivi.
Se non sbaglio c’è stata una rivisitazione della PAC per ampliare l’utilizzo dei suoli agricoli in EU.
Sì, in seguito alla crisi ucraina, è stato consentito l’utilizzo di alcuni terreni che prima erano lasciati a riposo. Ma sinceramente ho qualche dubbio sull’utilità e sull’efficacia dell’operazione.
Perché?
Si tratta di azioni non sincronizzate con il sistema agricolo. Il frumento che oggi possiamo coltivare sarà pronto non prima dell’anno prossimo quindi non aiuta a risolvere l’emergenza in cui ci troviamo. Coltivare terreni aggiuntivi vuol dire investimento. Con i prezzi di mercato attuali, sementi e fertilizzanti costano il doppio. Siamo sicuri che i prezzi di vendita saranno ancora così alti l’anno prossimo? Servono delle garanzie sennò l’agricoltore non è incentivato. Il mercato attuale è troppo volatile. C’è troppa speculazione.
E per la Circular Economy bisogna investire in partenza?
Il passaggio dal sistema attuale ad un sistema circolare completo è un percorso. Ci sono tanti aspetti che devono essere valutati e interventi che possono essere fatti. È una questione di educazione in primis.
Mi faccia un esempio.
Pensa a quando chiudi il rubinetto dell’acqua mentre ti lavi i denti, o ti ricordi di spegnere la luce….lo stesso vale in agricoltura. Per dosare meglio alcuni mezzi tecnici entrano in gioco fattori organizzativi e gestionali, che quindi non richiedono investimenti. Se invece si vuol fare un passo ulteriore, per esempio far il trattamento degli effluenti allora si deve investire in un impianto. Siamo ancora distanti dall’arrivare ad un sistema economico che riesca ad essere sostenibile al 100%.
[Si ringrazia per l’intervista Maddalena Monge del Disaa della Statale di Milano]