PERUGIA – La siccità che ha colpito l’Umbria nei mesi di giugno e luglio ha frenato bruscamente la produzione di miele e oggi i nostri apicoltori temono anche una morìa delle api che per settimane hanno fronteggiato una sensibile carenza di nutrienti. Ad accendere i riflettori sul settore apistico dell’Umbria è la Cia-Agricoltori Italiani regionale, che lancia l’allarme con una perdita di produzione di miele importante e verosimilmente superiore al 50%. Secondo le testimonianze raccolte da Cia Umbria, hanno potuto assicurarsi una produzione interessante solo coloro che in primavera inoltrata sono stati favoriti delle fioriture tanto da aver potuto smielare, in taluni casi anche con una certa soddisfazione. Viceversa chi, per caratteristiche floreali e territoriali, confidava in un raccolto di fine primavera/ inizio estate è rimasto completamente tagliato fuori dalle produzioni, visto l’andamento climatico decisamente avverso.
In questi giorni gli apicoltori, in moltissimi casi, sono impegnati a sostenere le famiglie di api provvedendo a nutrire con sciroppi di zucchero e melasse, appositamente acquistati da ditte specializzate, soprattutto per sostenere le famiglie in biologico. La beffa però è che tali alimenti sono sempre più costosi da reperire visto l’aumento delle materie prime, come ad es. lo zucchero (+30% in un anno). La stessa melassa biologica ha triplicato il prezzo; e il semplice sciroppo di zucchero che fino a pochi mesi fa costava all’apicoltore euro 0,60 al litro, oggi è arrivato al prezzo di 1,60 euro. Prezzo che non deve far sorridere se si pensa che una famiglia ne può consumare diversi chili al giorno e questo contribuisce ad erodere il reddito ultimo degli apicoltori.
Come Cia Umbria denunciamo questa ennesima speculazione sul costo degli alimenti per il settore apistico, sul quale nessuno sembra controllare, salvo poi fare i conti in tasca ai consumatori che devono spendere 10 euro per un chilo di miele millefiori umbro, per raggiungere i 15 € per un monofloreale o lo stesso miele d’acacia. A questo scenario dobbiamo aggiungere i costi del gasolio agricolo e della benzina che comporta, visti i rincari, una spesa enorme per chi pratica apicoltura nomade e sposta le api in diverse zone, anche fuori regione.
L’andamento degli ultimi due anni
2021 – Lo scorso anno la Regione Umbria aveva chiesto e ottenuto dal Governo lo stato di calamità per il settore apistico: causa era stata la gelata del mese di aprile che aveva provocato un blocco improvviso delle fioriture e quindi la conseguente incapacità di trovare nettare per le api e produrre miele: l’acacia, ricordiamo, non fiorì affatto. Molte famiglie di api avevano perso l’intera l’intera covata senza riuscire più a colmare questa pessima partenza che è ricaduta negativamente nell’invernamento delle stesse. Da quella situazione diversi apicoltori non si sono ancora del tutto ripresi.
2022 – La stagione è iniziata molto bene, con uno sviluppo ottimale delle famiglie. La sciamatura, secondo i referenti del settore apistico Cia Umbria, ad aprile e maggio risultava essere molto buona, con una produzione di miele che non si vedeva da anni. C’è chi è riuscito a portare a casa, in situazioni estremamente ottimali, 3-4 melari che equivalgono a circa 40/ 50 kg di miele a famiglia, cosa che non accadeva da anni. Tuttavia, come precedentemente accennato, la siccità dei mesi estivi ha cambiato drasticamente lo scenario e oggi i nostri apicoltori sono in forte difficoltà.
L’importanza delle api per la sostenibilità alimentare, ambientale ed economica: non solo miele
“Due dati bastano a capire la gravità della situazione: oltre l’80% delle specie vegetali coltivate in Europa dipende dall’impollinazione degli insetti e quindi delle api, – sottolinea il presidente Cia Umbria e vice presidente nazionale Cia, Matteo Bartolini – mentre la Piattaforma Intergovernativa sulla Biodiversità e sui Servizi Ecosistemici dell’Onu ci dice che la mancata impollinazione degli insetti comporterebbe un danno economico pari a 570 miliardi l’anno. Il problema che stiamo vivendo a causa del climate change non è quindi solo collegato alla produzione di miele, quanto alla minaccia di morìa delle stesse api, perché senza la loro attività è a rischio la produzione vegetale, quindi le coltivazioni per alimentare gli animali. Pensiamo al latte – continua Bartolini -, alla carne ma anche al pane; in generale al cibo che portiamo a tavola tutti i giorni. In questa situazione occorre intervenire non solo per mantenere in vita l’attività dell’apicoltore, ma ancor di più affinché lo stesso apicoltore possa mantenere in vita gli alveari offrendo un servizio alla comunità che va ben oltre la mera produzione di miele. Pertanto, chiediamo come Cia adeguati aiuti economici del governo regionale al settore apistico umbro”.