ROMA – Dopo la brusca frenata del 2020 causata dalla pandemia, nel 2021 il prezzo della terra ha ripreso a crescere, in concomitanza con un notevole aumento dell’attività di compravendita (+30%), sebbene il valore reale del patrimonio fondiario continui a diminuire (-12% rispetto al 2010) a causa di un tasso di inflazione nettamente superiore a quello riscontrabile negli ultimi anni (+1,9% nel 2021). Questo è il quadro che emerge dall’indagine sul mercato fondiario, curata dai ricercatori delle sedi regionali del CREA Politiche e Bioeconomia con il supporto del CONAF – Consiglio dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali – e dei dati pubblicati da altre fonti ufficiali.
Nel 2021, secondo l’indagine del CREA, il prezzo dei terreni agricoli ha registrato, rispetto al 2020, un aumento del 1,1% a livello nazionale, trainato soprattutto dalla circoscrizione del Nord Ovest e del Nord Est e dalle zone di pianura, con un prezzo medio nazionale che sfiora i 21.000 euro ad ettaro, seppur con evidenti differenze tra il Nord Est (42.300 euro) e il Nord Ovest (29.100 euro) e il resto d’Italia (15.000 euro).
Il credito per l’acquisto di immobili in agricoltura, secondo Banca d’Italia, dopo la drastica battuta di arresto del 2020 (-42%), ha recuperato solo parzialmente nel 2021 tale riduzione, mettendo a segno un incremento del 14%, malgrado la forte crescita dell’attività di compravendita.
Per quanto riguarda l’imminente riforma della PAC, non si segnalano particolari effetti, nonostante la progressiva convergenza degli aiuti diretti al reddito, che dovrebbe premiare le zone marginali a scapito di quelle più fertili di pianura. Anche sul mercato fondiario pesa l’insicurezza della congiuntura internazionale, che, oltre ad aver già causato un significativo aumento dei costi di produzione e, di conseguenza, una forte volatilità dei mercati delle principali commodity agricole, non fa capire se la domanda di terra nel futuro crescerà o diminuirà.
In generale, ad esclusione delle zone in cui l’agricoltura è poco remunerativa (nelle aree montane e in quelle marginali) continua a prevalere la domanda nel mercato degli affitti, trainata soprattutto nelle aree di pianura – terreni seminativi irrigui e adatti a colture di pregio. Si confermano, infatti, sostanzialmente stabili i canoni, probabilmente in seguito alle difficoltà legate alla pandemia, che già nel 2020 ne aveva comportato la riduzione del 2% come media nazionale.
Secondo il Censimento dell’agricoltura 2020 (ISTAT) la superficie agricola in affitto è ulteriormente aumentata rispetto al precedente censimento (+27% rispetto al 2010), con il 50% della SAU nazionale coltivato con contratti di affitto (5 milioni di ettari) e di comodato gratuito (1,2 milioni ettari). Gli effetti della PAC sul mercato degli affitti, per il momento, sono ancora legati alla fase di transizione, in attesa della nuova riforma, operativa dal 2023. Le durate dei contratti pertanto sono tendenzialmente limitate. Per il prossimo futuro, emergono sempre più evidenti le preoccupazioni degli operatori per l’aumento dei costi di produzione ai quali non sempre corrisponde un altrettanto stabile aumento dei prezzi dei prodotti agricoli.