ROMA – La PAC alle porte (dal gennaio 2023), la crisi energetica, la battaglia dei prezzi al produttore, costi produttivi alle stelle. Non sono mesi facili per l’agricoltura italiana, ma all’orizzonte potrebbe rivedersi la luce. Agricultura.it fa il punto con il presidente di Ismea, il prof. Angelo Frascarelli.
Presidente lei dice “una notizia, non notizia”: la PAC prenderà il via il 1 gennaio 2023. Con quali particolarità da segnalare, soprattutto per l’Italia?
Nessuno ha mai detto che la Pac sarebbe stata rimandata, ma di fatto è aleggiata questa possibilità improbabile. La PAC parte regolarmente dal gennaio 2023, il che vuol dire che già le semine di ottobre/novembre 2022 faranno riferimento a questo nuovo impianto che, rispetto al passato di fatto prevede due novità: la prima è rappresentata dal Piano strategico nazionale, di cui ogni Stato dovrà dotarsi e che la Commissione europea dovrà approvare (quello dell’Italia sarà inviato entro il 30 settembre). La seconda sono gli “eco-schemi”.
Gli eco-schemi?
Sono un nuovo pagamento per il clima e l’ambiente. L’Italia ne ha previsti cinque in tutto: il primo riguarda la riduzione dell’utilizzo di farmaci negli allevamenti zootecnici; il secondo l’inerbimento nelle colture arboree, come frutteti, vigneti, oliveti, agrumeti, ecc.; il terzo gli oliveti paesaggistici; il quarto l’utilizzo di foraggere e leguminose nelle colture intensive; il quinto l’utilizzo mirato di colture mellifere.
Su fronte degli impegni ambientali, la crisi generata dal conflitto in Ucraina ha comportato la sospensione per il 2022-2023 dei provvedimenti relativi alla rotazione per avere più terra da coltivare.
Di fatto per l’Italia cosa cambierà?
La buona notizia è che le risorse finanziarie rimangono invariate; questo grazie a un intervento del Governo che bilancerà la diminuzione del plafond comunitario. Inoltre nel nostro Paese prosegue attivamente una politica che guarda alla transizione ecologica in agricoltura.
Torniamo all’attualità: settore cerealicolo. Cosa è successo, cosa sta succedendo?
Per semplificare, direi che il settore cerealicolo è stato caratterizzato da tre fasi. La prima di queste riguarda un aumento del prezzo dei cereali, dinamica in essere già dal 2021 e dovuta a un calo produttivo mondiale e da cinque anni precedenti di prezzi al ribasso. La seconda fase parte dal febbraio 2022 con lo scoppio del conflitto in Ucraina: in questo caso si è registrata l’infiammata dei prezzi dei cereali, ma anche dei costi di produzione. La terza fase è quella segnata dalla siccità registrata per questa ultima annata di raccolti, calo produttivo quindi, prezzi alti, ma mercati in riequilibrio.
E per il grano duro?
Capitolo a parte. Qui dipendiamo dai raccolti del Canada e Nord America che a quanto pare nel 2022 saranno ottimi per quantità e qualità, quindi prevediamo prezzi in discesa. A fronte di un calo dei prezzi a tonnellata si deve far fronte a un aumento eccezionale dei costi di produzione: +54% fertilizzanti, +75% costi energetici e dobbiamo anche considerare quelli relativi a sementi e fitosanitari; gli agricoltori sono i primi su cui ricadono questi aumenti.
Quindi cosa aspettarci da questa crisi energetica?
Il Governo potrà contribuire fissando un tetto massimo e/o intervenendo con le proprie tasche e dando credito alle imprese; come Ismea ci stiamo muovendo in questa direzione con interventi ad hoc come la garanzia sui maggiori costi sostenuti dalle imprese. La vera svolta sarà rappresentata da politiche di intervento sul medio termine con la graduale auto-sufficienza energetica; in questa direzione contiamo molto sul PNRR quindi Agrisolare e Agrivoltaico, ma sono interventi che necessariamente potranno dare i primi risultati tra due-tre anni circa.