BARI – “I produttori di grano non ce la fanno più. Le risposte alla crisi devono arrivare ora, subito. Abbiamo chiesto la convocazione del Tavolo Cerealicolo tre settimane fa. Aspettare ancora non farà che peggiorare la situazione”. Attraverso una nota, CIA Agricoltori Italiani di Puglia torna a chiedere alla Regione Puglia e all’assessore Donato Pentassuglia di riunire attorno a un tavolo tutte le componenti della filiera cerealicola: produttori, stoccatori, mugnai e pastai.
“Nelle Borse Merci pugliesi, il valore riconosciuto alla parte produttiva per il nostro grano duro si attesta ancora attorno ai 480 euro alla tonnellata. Una miseria se rapportata da un lato ai costi di produzione (materie prime, gasolio, energia) e dall’altro al crollo delle rese: a Foggia, nella Bat e nel Barese la media dei raccolti è sprofondata, attestandosi attorno a una forbice di 20-25 quintali per ettaro. Questo significa che, dovendo sopportare costi di coltura e raccolta pari a oltre 1.200 euro per ettaro, i produttori costretti a vendere il loro grano non riescono nemmeno a recuperare le spese. E siamo in questa situazione ormai da quasi un mese. Il prezzo riconosciuto ai nostri produttori è crollato di oltre 100 euro alla tonnellata in poche settimane. Più che sulle ‘montagne russe’ siamo ormai alla ‘roulette russa’, un abominevole gioco d’azzardo che mette a rischio la vita delle nostre imprese. La speculazione sulla guerra in Ucraina è soltanto un pretesto. La verità è che la corsa al ribasso sembra pilotata e determinata da fattori meramente speculativi, con un cinismo che rende sgomenti. Sul campo, però, restano le macerie”. “Serve riconoscere ufficialmente, anche nei meccanismi delle Borse Merci, un valore specifico e la relativa premialità per gli elementi che compongono l’identità 100% italiana dal grano duro alla semola di grano duro. Attualmente non è così, poiché la quotazione relativa alla semola comprende anche la produzione estera”. “Come è stato fatto per la crisi dei produttori col Decreto sul riso, chiediamo ci si attivi presso il governo nazionale per ottenere un Decreto che ristori e aiuti i cerealicoltori”.
“Il rischio è che si tenti di chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati. Se non s’interviene ora, ci ritroveremo tra pochi mesi con centinaia di produttori che rinunceranno a seminare grano duro. Altro che ‘made in Italy’ e pasta 100% italiana con semola di grano duro prodotta in Italia! Ecco perché la corsa al ribasso è dannosa e dissennata anche per le altre componenti della filiera, quelle a cui ora fa comodo comprare a certi prezzi. In prospettiva, infatti, aumenterà la loro dipendenza dal mercato del grano estero e la pasta realmente italiana difficilmente si potrà produrre su larga scala. E’ uno scenario devastante, ma purtroppo verosimile se la direzione non sarà invertita”. Soltanto una parte non maggioritaria di produttori cerealicoli è riuscita a vendere i propri raccolti quando il prezzo riconosciuto al grano duro era più adeguato rispetto ai costi di produzione. Se davvero l’Italia ritiene strategica la filiera della pasta di semola di grano duro italiano, con tutto ciò che ne consegue per quanto riguarda posti di lavoro, export e redditività, allora occorre che i produttori siano tutelati, perché in questi anni sono stati loro la parte più debole di una filiera che ha continuato a macinare profitti crescenti per tutti, tranne che per gli agricoltori.
Negli ultimi anni, complessivamente la Puglia ha prodotto mediamente 9,5 milioni di quintali di grano duro, vale a dire il 30% della produzione nazionale, impiegando una superficie pari a 344.300 ettari. Sono numeri dentro ai quali ci sono lavoro, investimenti sulla qualità, reddito per migliaia di famiglie. Il calo della produzione è diretta conseguenza del prolungato periodo di siccità riscontrato nei mesi invernali. Il problema si riscontra in tutte le aree della Puglia, dal Foggiano alla Bat e all’area metropolitana di Bari, stessa cosa per il Tarantino. I costi di produzione per chi coltiva e raccoglie grano sono già aumentati a dismisura. “Per questo occorre trovare un nuovo punto di equilibrio, a garanzia di tutti altrimenti la filiera andrà gambe all’aria”.