BOLOGNA – L’Odissea del cibo dal campo alla tavola”, dedicato al carciofo.
Si è svolto, giovedì scorso, al Cubiculum Artistarum del Palazzo dell’Archiginnasio di Bologna, il quinto e ultimo incontro de “I Giovedì dell’Archiginnasio.
I relatori sono stati Maurizio Trigolo, Agricoltore Podere Fontana dei Conti, la Prof.ssa Cecilia Prata, Associato di Biochimica Università di Bologna, il Dott. Guido Mascioli, Delegazione Bologna Accademia Italiana della Cucina.
“La coltivazione del carciofo richiede una lavorazione manuale, anche nel diradamento delle piante, e spesso non incontra la possibilità di meccanizzare i processi da parte delle aziende agricole. E’ dunque una produzione faticosa – ha esordito Maurizio Trigolo -, ma che può fornire grandi soddisfazioni a livello qualitativo, come per la varietà del “Morello di Romagna”, che comunemente viene chiamato, a seconda delle zone, violetto o carciofo di San Luca nel bolognese. Il metodo di propagazione delle piante avviene per talea, e tutte le lavorazioni occorrenti, tranne la fresatura del terreno per eleminare le infestanti utilizzando un motocoltivatore, vengono effettuate manualmente. Il valore produttivo del carciofo per gli agricoltori sta nel mantenimento di una tradizione che ci è stata trasmessa e che con volontà e soddisfazione, può essere mantenuta e raccontata”.
“Osservandolo dal punto di vista biochimico nutrizionale, il carciofo suscita notevole interesse poiché rappresenta una vera e propria miniera di micronutrienti e nutraceutici essendo ricco di potassio, calcio, fosforo e ferro con sue proprietà specifiche (coleretico, eupeptico, stomachico, epatoprotettivo e ipocolesterolemizzante), note da tempo. Il carciofo – ha proseguito Cecilia Prata – deve inoltre la sua azione coleretica principalmente alla presenza di cinarina, sostanza amara ed aromatica che stimola la secrezione della bile, e la sua azione benefica si estende anche al fegato, alla cistifellea e alla diuresi con importanti proprietà depurative che aiutano il corpo a non accumulare tossine”.
“Il nome carciofo deriva dall’arabo Al kharsshuf che significa cardo spinoso. Molti sono i miti che narrano la sua nascita: il poeta latino Orazio ci racconta che nell’isola di Zinari in Grecia viveva una bellissima ninfa dai capelli color cenere, il suo nome era Cinara. Zeus, colpito dalla sua bellezza la portò sull’Olimpo e le attribuì il titolo di dea. Anche il nome botanico del carciofo Cinara scolynus ha una sua spiegazione data da Columella che, nel suo De Re Rustica, afferma che Cinara deriverebbe da cinis, la cenere, usata per rendere più fertili i terreni destinati alla coltivazione del carciofo. In cucina si può lessare, farlo in minestra, da solo condito con olio e grasso, oppure tagliato per il lungo in 4-6 parti e fritto può servire per antipasto. Dà un ottimo sapore agli stufati, si accompagna con la carne salata, si può cuocere avvolto nella rete come i fegatelli, si usa nei piccatigli (carne tritata) e nei giorni di magro con il pesce. I carciofi più grossi si cuociono con all’interno olio, burro, sale a fuoco lento. Si conservano bene e a lungo con olio e sale”.