ROMA – Coinvolgere i figli più piccoli nella preparazione dei pasti in modo giocoso li convince a consumare più frutta e verdura, limitando forme estreme di neofobia alimentare (ossia il rifiuto selettivo di taluni alimenti).
Questi, in sintesi, i risultati emersi dall’indagine svolta da un team di ricercatori del CREA Alimenti e Nutrizione, su un campione di 99 bambini in età scolare della regione Lazio, ma rappresentativo anche a livello nazionale, per esaminare i cambiamenti delle loro abitudini nutrizionali nel corso e nel post pandemia da Covid-19 e l’eventuale impatto sui fenomeni di ripudio di cibi specifici. Durante la pandemia, la convivenza forzata determinata dal lockdown ha prodotto l’aumento del numero dei pasti consumati in famiglia. Inoltre, nel periodo di convivenza forzata la condivisione dei pasti si è associata alla scelta di verdure e legumi: circa il 95% dei bambini che ha consumato maggiormente questi alimenti, infatti, aveva effettuato entrambi i pasti principali nel nucleo familiare e nel 35% dei casi è risultato che ne mangiavano di più rispetto a quanto accadeva nel periodo pre-pandemico.
Le azioni condotte
Un campione di 99 bambini tra i 6 e gli 11 anni ha preso parte a una valutazione retrospettiva effettuata con un questionario autosomministrato. Sono state studiate le abitudini alimentari, i livelli di attività fisica e gli indicatori dello stile di vita sia pre che post pandemia. Inoltre, è stata valutata la neofobia alimentare del bambino utilizzando la “Scala della neofobia alimentare (CFNS)”.
I risultati
Pubblicati nel numero di dicembre della rivista scientifica internazionale “Frontiers in Nutrition”, hanno mostrato che, per gran parte del campione (97%), il rifiuto selettivo del cibo non è cambiato durante il periodo della pandemia. Circa il 70% dei partecipanti non ha mutato le proprie abitudini alimentari, con alcune eccezioni che hanno riguardato alcuni sottogruppi che hanno riportato un aumento del consumo di frutta (22,2%), verdura (19,2%) e legumi (21,2%). Com’era prevedibile, a causa delle misure restrittive, è stato rilevante l’impatto della pandemia sulla sedentarietà, che è passata dal 25,3 al 70,7%. La neofobia non è stata associata allo stato ponderale (p-value 0,5). Tuttavia, nei bambini normopeso è stata riscontrata una più alta prevalenza di neofobia di livello intermedio (78,4%). È stato interessante notare come durante l’isolamento sociale, il 39,4% dei bambini studiati sono stati coinvolti nella preparazione dei pasti e come sia aumentata la percentuale che ha condiviso tutti i pasti con la famiglia (32,3% vs. 78,8%).
Nello studio condotto dai ricercatori CREA Annalisa Di Nucci, Umberto Scognamiglio, Federica Grant e Laura Rossi, i comportamenti genitoriali non coercitivi in reazione al rifiuto del cibo – cioè il dialogo e la preparazione dei cibi meno graditi in una modalità maggiormente apprezzabile dal bambino – sono stati associati a bassi livelli di neofobia (valore p <0,05). Al contrario, l’unica strategia associata al livello di neofobia è stata la disapprovazione mostrata dal genitore, a cui, infatti, corrisponde nel proprio figlio un livello intermedio o alto di ripudio di cibi.
“Una delle cause del basso consumo di frutta e verdura nei bambini potrebbe essere la neofobia alimentare – spiega Umberto Scognamiglio ricercatore CREA Alimenti e Nutrizione che ha coordinato lo studio – definita come la riluttanza a mangiare cibi nuovi o sconosciuti: un comportamento molto comune tra i bambini con un ben definito esordio ed evoluzione. Il nostro studio dimostra come le strategie educative adottate dal genitore al momento del pasto possano influenzare in modo determinante le abitudini alimentari e il livello di neofobia del bambino.”