VERONA – Obiettivi dell’agricoltura e finalità della ricerca nel settore primario si intrecciano nelle parole della professoressa Stefania De Pascale, ordinario di Orticoltura e Floricoltura all’Università Federico II di Napoli, vicepresidente del Crea, componente del Consiglio direttivo dell’Accademia dei Georgofili e coordinatrice del progetto sulle energie rinnovabili in agricoltura e sull’implementazione della circolarità in agricoltura nell’ambito di Agritech. La scienziata De Pascale è coinvolta anche in numerosi progetti finalizzati a studiare l’agricoltura nello spazio. Fieragricola TECH l’ha intervistata per fare il punto sull’agricoltura nel futuro.
Professoressa De Pascale, l’Università Federico II di Napoli coordina il progetto Agritech e il Centro nazionale per lo sviluppo delle nuove tecnologie in agricoltura. Quali innovazioni e nuove tecnologie in agricoltura ritiene più urgenti da adottare per il sistema agricolo italiano e su quali ambiti di ricerca state lavorando?
«Devo partire da una premessa. Secondo me l’agricoltura si sta muovendo su due fronti paralleli, che sono entrambi estremamente importanti e che potrebbero essere calati in realtà operative differenti. Da un lato vediamo lo sviluppo di soluzioni di Agricoltura 4.0 e oltre, governate dall’Intelligenza Artificiale, dalla digitalizzazione, dall’agricoltura di precisione. Le applicazioni reali sono poche e limitate a pochissime persone, perché sono soluzioni che richiedo molta preparazione da parte delle imprese agricole. A mio avviso, queste forme di agricoltura sono destinate ad alcuni comparti, ad imprese di grandi dimensioni e alle agricolture più avanzate. Teniamo presente che siamo di fronte a un trend che richiede molta ricerca interdisciplinare. Nell’ambito del progetto Agritech, infatti, abbiamo adattato il nostro modo di fare ricerca e stiamo imparando a lavorare in squadra con ingegneri, meccanici, ingegneri informatici. L’agricoltura ha bisogno di risposte urgenti e lavorare insieme alle industrie private che sviluppano queste tecnologie di Agricoltura 4.0 può aiutare.
Altrettanto interessante è tutto il trend che definirei agro-ecologico, un’opportunità che può o dovrebbe essere colta dalle aziende agricole di piccole dimensioni o che si trovano in aree marginali o, ancora, che presentano produzioni di nicchia e di eccellenza. In questo caso siamo di fronte a forme di agricoltura che hanno necessità di innovazioni di altro tipo, legate più alle innovazioni di prodotto che di processo.
In queste realtà risultano vincenti linee di ricerca sul biocontrollo, sui biostimoltanti, le tecniche agronomiche per migliorare le resistenze delle piante agli stress abiotici oppure le tecniche per migliorare qualità dei prodotti. Sono realtà caratterizzate da tipologie di prodotti, di mercato e dimensione che si sposano male con agricoltura di precisione come la siamo vedendo oggi, perché l’agricoltura di precisione richiede colture omogenee, grandi appezzamenti. Questo non significa che i due sistemi andranno a competere fra di loro, perché potrebbero convivere, essere sovrapposti, trovare spazi e ambiti differenti, soprattutto in un’agricoltura come quella della Penisola italiana, che offre in verità più agricolture, prodotti agricoli diversi, approcci differenti. Ma siamo di fronte a sistemi che comunque richiedono innovazione, perché l’agricoltura è chiamata a produrre di più e con meno, bisognerà a puntare al risparmio della risorsa idrica, le produzioni hi-tech abbiamo bisogno di efficientare la produttività e il consumo di energia, puntando sulle rinnovabili, sull’agricoltura circolare e sulla intrinseca resilienza dell’agricoltura».
La circolarità è alla base dell’agricoltura.
«Sì, dal ciclo dell’acqua, dei nutrienti e del carbonio, la circolarità è alla base dell’agricoltura, anche se oggi si parla di filiere che si sono allungate fino a diventare lineari e si deve, quindi, ripensare il sistema della circolarità. Ma l’applicazione dei principi dell’economia circolare può offrire l’opportunità all’agricoltura di diventare più efficienti, dalla produzione primaria alla distribuzione e al consumo. Abbiamo l’opportunità di attuare la trasformazione dei rifiuti per utilizzarli come scarti colturali, per produrre concimi, compost, ammendanti, biofertilizzanti, biostimolanti, anche per estrarre biomolecole utili, energie, in una visione allargata che guarda alla bioeconomia.
Con l’Università sono responsabile tecnico scientifico di un progetto finanziato dal Mise in collaborazione col Cnr, che si chiama Green Farm, con partner privati quali Graded spa che è capofila, la Cmd Motori Diesel di Caserta, per la realizzazione di un impianto pilota presso l’azienda sperimentale di Castelvolturno per l’efficientamento energetico dell’azienda e l’adozione della circolarità. Abbiamo realizzato un piro-gassificatore che produce energia da biomassa di scarto, integrato a pannelli fotovoltaici. È un sistema mobile e autonomo, con batterie alimentate dal fotovoltaico, che viene utilizzato per il fabbisogno energetico dell’azienda, mentre l’energia in accesso può esser incanalata nel sistema nazionale e gli scarti come la CO2 possono essere usati nelle colture protette come fertilizzante.
Le energie rinnovabili abbinate alla circolarità rappresentano una soluzione su cui investire. Senza dimenticare che, quando si parla di energia e agricoltura o di circolarità e agricoltura, la mission primaria è quella di nutrire il mondo, produrre alimenti sani. Questo non toglie che si possa fare ricerca, come stiamo facendo, ad esempio per utilizzare gli scarti di orticole, più o meno trattati o compostati, per reintegrare la sostanza organica nei terreni oppure per estrarre molecole bioattive che possono essere riutilizzate in agricoltura o, ancora, per la produzione di integratori alimentari, come nel caso delle sostanze estratte dal carciofo o dal finocchio.
Ma, ancora, teniamo presente che l’agricoltura non può essere esclusivamente fornitrice di materie per bioenergia o bioeconomia, ma è necessario che ci siano analisi costi-benefici da compiere nei diversi settori agricoli, per capire su quali settori puntare, legare la logistica per riutilizzo degli scarti. Ma dobbiamo essere altrettanto consapevoli che siamo di fronte da un lato a tecnologie su piccola scala e dall’altro a tecnologie che richiedono grandi investimenti tanto in ricerca quanto in logistica. Per questo serve il sostegno pubblico e un disegno che si rivolga non alle singole aziende, ma a territori più ampi».
Resta il nodo della formazione.
«È assolutamente necessario che gli agricoltori abbiano accesso alle conoscenze e alle tecnologie. Più noi pensiamo a agricoltura hi-tech, più dobbiamo guardare alla preparazione degli operatori agricoli. È necessario anche che questa transizione verde, che richiede un cambio di paradigma radicale, coinvolga anche il consumatore, che deve essere consapevole delle scelte che compie a tavola. La strategia From Farm to Fork deve assolutamente essere interpretata anche dal punto di vista inverso, cioè From Fork to Farm, così da avere consumatori coinvolti e, come dicevo, consapevoli».
La guerra in Ucraina ha rilanciato i temi della sovranità alimentare e della sovranità energetica. Come la ricerca scientifica può dare risposte all’agricoltura? Con riferimento in particolare alle energie rinnovabili, quale ruolo potrà giocare l’agricoltura?
«Anche sull’agrivoltaico stiamo per presentare un progetto, perché ovviamente ancora una volta come spesso accade in alcuni casi lo sviluppo industriale e le politiche che lo accompagnano vanno troppo veloci per i tempi della ricerca, soprattutto perché la ricerca richiede impegni e investimenti. Detto questo, l’agrivoltaico potrebbe essere un sistema interessante per alcuni contesti agricoli, ma va verificato in condizioni operative reali, per consentire di integrare la produzione agricola con la produzione energetica, favorire la conservazione della fertilità suoli, il risparmio idrico.
Anche in questo caso deve essere chiaro che il mantenimento della vocazione agricola del terreno deve essere l’obiettivo principale: laddove la produzione di energia elettrica può convivere con gli obiettivi primari, ben venga. Ci sono studi che dimostrano che con l’agrivoltaico c’è un incremento di reddito anche molto interessante, ma non possiamo parlare in modo indiscriminato di impianto agrivoltaico, ma dobbiamo valutare i parametri tecnico ingegneristici che consentano la produzione agricola al di sotto dei pannelli fotovoltaici, perché non tutte le colture reagiscono positivamente per l’intero ciclo colturale e alla riduzione dell’irradiazione solare, vanno quindi modulati i protocolli.
Se fatto in modo intelligente, l’agrivoltaico può essere interessante, ma va provato in condizioni operative agricole reali. Non è facile fare ricerca in questo campo, perché richiede grandi investimenti e un impianto pilota ha costi elevati».
Lei si occupa anche di agricoltura nello spazio. A che punto è la ricerca? Quando potremo coltivare nello spazio e quali benefici potremmo avere dallo spazio?
«Stiamo guardando alla Luna con grande interesse e la possibilità di andare sulla luna e di testare sistemi e tecnologie in ambiente extraterrestre reale è diventato molto più concreto. Adesso ci avviciniamo a questa opportunità. Da un lato abbiamo studiato ortaggi e cibi che possono diventare sulle stazioni spaziali orbitanti degli integratori allo space food. Le piante coltivate in atmosfera protetta, nelle cosiddette salad machine, purificano l’acqua e l’aria, utilizzano la CO2 prodotta dall’uomo e restituiscono ossigeno, usano in parte i rifiuti organici dell’equipaggio, producono un cibo fresco e variegato.
Dall’altro abbiamo le condizioni della Luna o di Marte. In questo caso stiamo studiando colture come grano, riso, cereali, soia, ma anche tuberi come la patata. Le condizioni di sperimentazione sono diverse rispetto alla stazione orbitante, perché anche se limitata rispetto alla Terra, chiaramente sui pianeti c’è gravità, e questo ci permette di usare sistemi più vicini a quelli cui siamo abituati. Sulla Terra abbiamo sperimentato la possibilità di usare i suoli extraterrestri per utilizzare regolite lunare e marziana, cioè polveri minerali che devono essere migliorate con l’addizione di biostimolanti microbici e non microbici, per consentire una produttività maggiore e una maggiore efficienza delle piante all’interno di questi sistemi bio-regenerativi. Dobbiamo anche tenere conto del problema delle radiazioni e la tolleranza delle piante, perché dobbiamo garantire la sopravvivenza in presenza di radiazioni ionizzanti.
La ricerca nello spazio ci consentirà di coltivare di più e meglio sulla Terra, di coltivare in sistemi chiusi, con elevata efficienza d’uso su substrati poverissimi, e questo ci permetterà di coltivare nei deserti, sui poli, nel Vertical farming nelle città. Quando la Nasa iniziò a studiare le piante per i sistemi bio-rigenerativi, fu antesignana nel creare le condizioni idonee per il Vertical farming».
Come vede lo sviluppo del Vertical farming? Sarà il futuro dell’agricoltura, ora che la popolazione urbanizzata ha superato quella che vive nelle aree rurali?
«Il superamento della popolazione urbana rispetto a quella rurale è un fenomeno che interessa le megalopoli dove non solo è aumentata la popolazione urbana, ma gli stessi abitanti sono lontani dai centri rurali, con problemi di approvvigionamento dei prodotti freschi. Per città come Milano, Roma, Napoli è un problema ridotto.
Il Vertical farming si sta sviluppando molto in Usa e nei paesi asiatici, laddove ci sono grandi centri urbani. Io non credo in una grossa crescita del Vertical farming per quanto riguarda l’Europa meridionale, perché al momento c’è un problema legato soprattutto all’utilizzo dell’energia. Sono sistemi estremamente energivori, che producono quindi a costi elevatissimi.
Con l’Università di Bologna abbiamo un progetto finanziato dal Miur per lo studio del Vertical farming sostenibile, con la finalità di migliorare l’efficienza d’uso delle risorse energetiche. Già oggi l’acqua è usata in maniera molto efficiente, mentre resta da risolvere i problemi legati all’uso della luce e dell’energia, perché è necessario realizzare fonti rinnovabili con un impatto ridotto dal punto di vista paesaggistico e ambientale, trovandosi le strutture di Vertical farming vicine alle città».
Quali sono i vincoli che frenano l’innovazione in agricoltura e come possono essere superati?
«I limiti sono gli investimenti per la ricerca e il capitale umano. A livello nazionale si è capito che occorrono grandi progetti, maggiori investimenti in ricerca e sviluppo, così come in infrastrutture e in logistica, soprattutto per i grandi obiettivi dell’agricoltura come la circolarità, l’energia, l’uso razionale dell’acqua, aspetti che devono essere non al servizio della singola azienda, ma dei grandi comprensori agricoli.
Bisognerà rivedere e semplificare la normativa e ripensare gli aspetti legati ai consumi, così da facilitare la transizione verso la circolarità. Anche l’utilizzo dei droni e l’agricoltura di precisione richiedono normative ad hoc. Poi bisognerà definire una politica reale di incentivi ambientali sulla base di un’analisi costi/benefici pensata appositamente per il settore. È necessario che la politica capisca che oggi l’agricoltura è chiamata ad avere sempre più compiti e qualcuno dovrà rendersi conto che questa nuova funzione ha dei costi che l’agricoltura da sola non può sostenere. Ci vogliono degli incentivi per chi opera correttamente e dovranno essere basati su indicatori chiari. Oggi si parla di impronta idrica e carbonica, ma non sempre tali parametri sono misurati in modo corretto e non sempre sono effettivamente utili alla determinazione dei benefici prodotti».
Come immagina l’agricoltura italiana nel 2040? Quale sarà il peso delle nuove tecnologie nelle aziende agricole? Avremo aziende agricole iper-specializzate? Come potrebbe essere il cibo del futuro?
«Non immagino una sola agricoltura italiana, ma un mosaico di agricolture, di paesaggi, di cibo, di eccellenze. Credo che nel futuro vedremo sempre più queste diverse agricolture e sopravviveranno le aziende che riusciranno a rispettare o a migliorare la sostenibilità della produzione scegliendo una delle due strade e quindi o la strada di prodotti eccellenti, con produzioni di nicchia non destinate al consumo di massa, e in questo caso molto probabilmente saranno aziende che dovranno usare tecniche avanzate sul piano delle innovazioni agro-ecologiche, dovranno investire molto sulle politiche di marketing e sulla formazione al consumatore. E poi avremo grandi aziende nei comprensori di pianura che producono per la massa, per l’agroindustria e il consumo fresco, per le quali la sfida è la digitalizzazione e l’agricoltura di precisione».
Come si collocheranno le grandi Dop?
«Sono al di sopra, e per quelle indicazioni geografiche affermate a livello internazionale si tratterà di confermare la loro efficienza, migliorandola laddove possibile, ma la sfida della nostra agricoltura riguarderà i prodotti che sono ancora anonimi, quelli destinati alla gdo, che tra l’altro richiede prezzi sempre più bassi e qualità sempre più alta. La sfida sarà anche quella di organizzare il ruolo dell’agricoltura nella filiera e sarà compito dei grandi attivarsi attraverso un dialogo di visione. In ogni caso, la riduzione dei costi e l’aumento delle produzioni saranno ancora le determinanti fondamentali e le tecnologie rappresenteranno una valida soluzione per rispondere alle più diverse esigenze: la riduzione del contenuto di nitrati, l’aumento della produzione di biomassa, la riduzione delle emissioni, l’efficientamento dell’utilizzo dell’acqua. Le produzioni di nicchia, invece, dovranno puntare non tanto sull’agricoltura di precisione, che richiede grandi estensioni o l’adozione di strumenti attraverso il contoterzismo, quanto sul miglioramento della sostenibilità attraverso tecnologie di tipo differente, più vicine all’agroecologia, alla multifunzionalità, magari cercando di accedere a tutte le politiche di incentivo per l’agriturismo ove soluzione perseguibile, ponendo una fortissima attenzione al marketing dei prodotti agricoli»
Intervista a cura dell’ufficio stampa di Fieragricola Tech