LUSSEMBURGO – Gli organismi ottenuti con l’applicazione in vitro di una tecnica o di un metodo di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni in vivo e con una lunga tradizione di sicurezza relativa a tali applicazioni sono esclusi dall’ambito di applicazione di tale direttiva.
La direttiva 2001/18/CE1 definisce una metodologia comune per la valutazione, caso per caso, del rischio ambientale connesso all’emissione deliberata di organismi geneticamente modificati (OGM), nonché obiettivi comuni per il monitoraggio degli OGM dopo la loro emissione deliberata o la loro immissione in commercio.
Norme che prevedono, tra l’altro, la valutazione prima dell’immissione in commercio, l’autorizzazione, l’etichettatura o il controllo successivo alla commercializzazione. Tale direttiva comporta tuttavia un’esenzione, la quale implica che taluni tecniche o metodi si sottraggano al suo ambito di applicazione (la «deroga»).
La mutagenesi casuale consiste nell’accelerare il ritmo delle mutazioni genetiche spontanee degli organismi viventi. Tale tecnica di mutagenesi può essere applicata in vitro (gli agenti mutageni sono impiegati su cellule della pianta e la pianta intera è poi ricostituita artificialmente) o in vivo (gli agenti mutageni sono impiegati sulla pianta intera o su
parti di piante).
Nel 2015 un sindacato agricolo francese (la Confédération paysanne) e otto associazioni aventi come scopo la tutela dell’ambiente hanno adito il Consiglio di Stato con un ricorso riguardante l’esclusione di talune tecniche o metodi di mutagenesi dall’ambito di applicazione della normativa francese di recepimento della direttiva 2001/18 sull’emissione deliberata nell’ambiente di OGM.
In una sentenza pronunciata il 25 luglio 20182 la Corte ha statuito, segnatamente, che solo gli organismi ottenuti attraverso tecniche o metodi di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza beneficiano della deroga prevista dalla direttiva 2001/18.
In una decisione del 2020, il Consiglio di Stato ha dedotto da tale sentenza che gli organismi ottenuti per mezzo di tecniche o di metodi emersi o principalmente sviluppati successivamente alla data di adozione di tale direttiva, in particolare mediante mutagenesi casuale in vitro, devono essere inclusi nell’ambito di applicazione della direttiva 2001/18 e sono quindi soggetti agli obblighi imposti da quest’ultima.
Le autorità francesi non hanno tuttavia adottato misure volte a garantire l’esecuzione della decisione del Consiglio di Stato a causa, in particolare, dell’opposizione da parte della Commissione all’applicazione di regimi distinti alla mutagenesi casuale in vivo e alla mutagenesi casuale in vitro.
La Confédération paysanne e le 8 associazioni succitate hanno quindi nuovamente adito tale giudice per ottenere la pronuncia di un’ingiunzione volta a garantire l’attuazione della sua decisione del 2020.
Il Consiglio di Stato chiede alla Corte di precisare se la mutagenesi casuale in vitro possa essere assimilata a una tecnica o a un metodo di mutagenesi conformi al duplice criterio dell’uso convenzionale e della tradizione di sicurezza, e beneficiare in tal modo della deroga prevista dalla direttiva 2001/18, o se essa debba al contrari rientrare nell’ambito di applicazione di tale normativa.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, riunita in Grande Sezione, dichiara che, in via di principio, è giustificato escludere l’applicazione della deroga prevista dalla direttiva 2001/18 agli organismi ottenuti mediante l’applicazione di una tecnica o di un metodo di mutagenesi fondati sulle stesse modalità di modificazione, da parte dell’agente mutageno, del materiale genetico dell’organismo interessato di una tecnica o di un metodo di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza, ma che differiscono da tale seconda tecnica o secondo metodo di mutagenesi per altre caratteristiche, a condizione che dette caratteristiche possono comportare modificazioni del materiale genetico dell’organismo di cui trattasi diverse, per la loro natura o per il ritmo con cui si verificano, da quelle risultanti dall’applicazione di una tecnica o di un metodo di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza.
A sostegno di tale soluzione, la Corte sottolinea che la limitazione della portata della deroga prevista dalla direttiva di cui trattasi, con riferimento al duplice criterio relativo) all’utilizzo convenzionale in varie applicazioni) alla tradizione di sicurezza, è strettamente connessa all’obiettivo stesso di tale direttiva, ossia, nel rispetto del principio di precauzione previsto dal diritto dell’Unione, la tutela della salute umana e dell’ambiente.
Essa constata che un’estensione generale del beneficio dell’esenzione agli organismi ottenuti mediante l’applicazione di una tecnica o di un metodo di mutagenesi fondati sulle stesse modalità di una tecnica o di un metodo di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza, ma che combina tali modalità con altre caratteristiche, distinte da quelle di detta seconda tecnica o di detto secondo
metodo di mutagenesi, non sarebbe conforme all’intento del legislatore dell’Unione.
La Corte considera, infatti, che l’emissione nell’ambiente o l’immissione in commercio, senza aver condotto a buon fine una procedura di valutazione dei rischi, di organismi ottenuti mediante una tecnica o un metodo di mutagenesi che presentino caratteristiche diverse da quelle di una tecnica o di un metodo di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza può comportare effetti negativi
sulla salute umana e sull’ambiente, che interessano diversi Stati membri in modo eventualmente irreversibile.
Ciò potrebbe verificarsi anche qualora tali caratteristiche non riguardino le modalità di modificazione, da parte dell’agente mutageno, del materiale genetico dell’organismo interessato.
Nondimeno, essa rileva che la deroga sarebbe privata di effetto utile se si ritenesse che gli organismi ottenuti mediante l’applicazione di una tecnica o di un metodo di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza rientrano necessariamente nell’ambito di applicazione della direttiva qualora tale tecnica o tale metodo abbiano subito una qualunque modifica.
Pertanto, il fatto che una tecnica o un metodo di mutagenesi abbia una o più caratteristiche distinte da quelle di una tecnica o di un metodo di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza giustifica l’esclusione della deroga prevista solo quando sia dimostrato che tali caratteristiche possono comportare modificazioni del materiale genetico dell’organismo interessato diverse (per la loro natura o per il ritmo con cui si verificano) da quelle risultanti dall’applicazione di tale seconda tecnica o di tale secondo metodo di mutagenesi.
Tuttavia, gli effetti inerenti alle colture in vitro non giustificano che da tale deroga siano esclusi gli organismi ottenuti mediante l’applicazione in vitro di una tecnica o di un metodo di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni in vivo con una lunga tradizione di sicurezza relativa a tali applicazioni.
Infatti, la Corte analizza diversi aspetti della direttiva 2001/18 per accertare se il legislatore dell’Unione abbia ritenuto che il fatto che una tecnica o un metodo prevedano colture in vitro sia decisivo per determinare se una siffatta applicazione rientri o meno nell’ambito di applicazione di tale direttiva. Orbene, da tale analisi essa deduce che non è così, in particolare alla luce della circostanza che altre tecniche non sono assoggettate al regime di
monitoraggio degli OGM previsto dalla direttiva 2001/18 nonostante esse implichino o possano implicare il ricorso a colture in vitro.