Il digestato al centro del nuovo numero online di creafuturo dedicato alle energie rinnovabili. creafuturo è la testata giornalistica on line del CREA, il più importante ente italiano di ricerca dedicato all’agroalimentare.
di Micaela Conterio
ROMA – Tema di grande attualità di cui si sente molto parlare, ma su cui esiste ancora molta incertezza e disinformazione, in particolare sul suo uso in agricoltura. Risultato del processo di digestione anaerobica, di una serie cioè di reazioni biochimiche che modificano la composizione della sostanza organica originale (effluenti zootecnici, biomasse vegetali, sottoprodotti di origine animale e agroindustriale), è al centro di un intenso e acceso dibattito: sono maggiori i benefici o piuttosto i danni?
Innegabilmente ha un alto valore fertilizzante, essendo ricco di sostanza organica e nutrienti (azoto e fosforo), e può essere usato in sostituzione di fertilizzanti di sintesi, contribuendo attivamente, quindi, alla riduzione delle emissioni di gas serra. Ma può, però, risultare dannoso per il terreno, se non adeguatamente compostato, perché mantiene una condizione di anossia (cioè mancanza di ossigeno) che può danneggiare il pool di microrganismi presenti nel suolo. Senza trascurare che, per le aziende che lo producono, rappresenta un onere in termini di costi di stoccaggio e di smaltimento e, conseguentemente, di sostenibilità economica.
Solido e/o liquido: digestato sì o digestato no? Cerchiamo, quindi, di fare chiarezza con Giuseppe Corti, Direttore CREA Agricoltura e Ambiente.
Cos’è il digestato?
Il digestato altro non è che il residuo della digestione anaerobia degli scarti vegetali dell’agricoltura, cui viene aggiunta una determinata quantità di letame o di pollina (le deiezioni degli allevamenti di volatili) o di reflui zootecnici, che servono per dare avvio alla digestione anaerobica e per renderla più rapida. La presenza di deiezioni zootecniche, in aggiunta ai residui vegetali, è funzionale proprio a velocizzare il processo, che altrimenti sarebbe decisamente molto più lento.
Perché se ne parla tanto?
Se ne parla tanto perché, oltre ad essere una questione economica, oggi è sempre più anche e soprattutto una questione ambientale. Utilizzare insieme agli scarti vegetali, anche il letame, la pollina e/o deiezioni varie ci consente, infatti, di ottenere quei residui che possono essere impiegati all’interno dei digestori per produrre come risultato finale il metano. Avvalersene, però, non è semplicissimo, perché questo gas è un po’ sporco e andrebbe, quindi, raffinato e, soprattutto emana cattivo odore, inibendone l’utilizzo nelle abitazioni.
Il sistema funziona, però, fintantoché produciamo impianti per la digestione di adeguate dimensioni. Se invece, come del resto è accaduto in molte zone dell’Italia, le dimensioni dei digestori sono eccessive, a quel punto non riusciamo ad alimentarli con i soli scarti provenienti dalle aziende agricole circostanti, ma ci troviamo nella situazione in cui, paradossalmente, siamo costretti a coltivare la terra per poterli far funzionare. In questo modo, abbiamo tradito quello che era lo scopo principale per cui sono nati, ossia l’uso di scarti a fini energetici. Così, invece, si coltiva per alimentare il digestore.
Perché è così importante ai fini energetici?
L’attuale congiuntura geopolitica e il conseguente aumento dei prezzi delle materie prime hanno reso ancora più evidente la dipendenza dell’Italia dall’estero per l’approvvigionamento energetico (l’80% dell’energia consumata dal Paese proviene dall’estero). Avere, quindi, la possibilità di produrre autonomamente energia è fondamentale, perché, anche se non riusciremo ad eliminare del tutto la nostra dipendenza dall’estero, potremmo sicuramente ridurla. È quindi necessario produrre energia, ma con accuratezza e intelligenza.
E qui sorgono problemi, ambientali e agricoli. I suoli sono da sempre stati utilizzati per produrre cibo e fibre. Oggi, invece, rischiamo di vederli utilizzare per produrre biomasse, spesso mais raccolto allo stato ceroso, che serve ad alimentare i digestori, insieme alle deiezioni animali. Bisogna considerare, innanzitutto, che le deiezioni rappresentano solitamente il 10% circa della massa utilizzata nei digestori, mentre la restante parte è costituita da biomassa vegetale. Ne serve veramente tanta, dunque.
Sarebbe stato meglio avere impianti più piccoli in grado di essere soddisfatti con gli scarti – o poco più – di una singola azienda o di qualche azienda consorziata, piuttosto che avere pochi impianti giganti, che poi rendono difficile recuperare i volumi di biomassa sufficiente per la loro alimentazione. E, soprattutto, per evitare che l’impianto risulti economicamente svantaggioso, cosa che costringe appunto a coltivare mais allo stato ceroso per alimentarlo e per produrre una determinata quantità di gas, il più delle volte utilizzata all’interno dell’azienda stessa, per alimentare motori destinati alla produzione di energia elettrica. Un problema è comunque rappresentato anche dalle dimensioni troppo piccole dell’impianto: in questo caso il rischio è che venga meno l’economicità dell’investimento o quella della produzione di energia elettrica.
In un Paese come il nostro, con aziende piccole e piccolissime, trovare la giusta dimensione del digestore, in modo da non creare problemi ambientali ed etici e, allo stesso tempo, conservare l’economicità del sistema, compresa la remunerazione del capitale investito, può costituire un problema non da poco, da risolvere in maniera scientifica e non empirica.
Perché è importante per l’ambiente?
È molto importante per l’ambiente sotto diversi punti di vista. Si pensa sempre che le deiezioni zootecniche siano un toccasana per i suoli e, per certi aspetti, innegabilmente lo sono: basti pensare all’accumulo di sostanza organica e microbica. Ma negli allevamenti si fa spesso ricorso agli antibiotici che, di fatto, passano attraverso il tratto digestivo degli animali e li ritroviamo nelle deiezioni prima e nei suoli poi, per essere assorbiti dalle piante e ingeriti dall’uomo. Come è stato comprovato dalla ricerca scientifica, questo porta, sull’uomo, alla resistenza proprio verso i microrganismi-target dell’antibiotico.
Diversamente, se il digestato che scaturisce dal digestore alimentato a biomassa e deiezioni viene poi sottoposto a un processo di compostaggio, si ha l’abbattimento degli antibiotici che erano presenti. In questo modo, il compost così ottenuto risulta essere sano, privo di antibiotici e in grado di ridare vitalità alle popolazioni microbiche del suolo.
La produzione di digestato, quindi, è importante non solo per la trasformazione e l’uso di scarti del comparto agricolo e agroalimentare, ma anche per l’azione di sanificazione delle deiezioni zootecniche, risultando vantaggiosa non solo per l’ambiente, ma anche per la salute umana. Per l’ambiente, infine, comporta un duplice vantaggio: da un lato l’uso di compost derivante da digestato è un ottimo prodotto, che favorisce la presenza di microbiodiversità nel suolo e la sua conseguente fertilità. Dall’altro, concorrendo all’incremento di fertilità, riduce la necessità di input chimici e di prodotti fitoiatrici, che servono a proteggere le piante da malattie e patogeni.
È possibile stimare la riduzione delle emissioni di gas serra e l’impronta carbonica?
Certo che è possibile. Inserendo nel digestore biomassa vegetale e deiezioni zootecniche, la quantità di materia che viene realmente consumata dai microrganismi anaerobi è veramente minima ed è solo una parte di quella quantità ad essere trasformata in metano. Va notato che, rispetto all’anidride carbonica, il metano ha effetto serra 27 volte maggiore e sembrerebbe, quindi, essere più negativo e più impattante andare a produrre metano; ma, al contrario, siccome il metano viene recuperato per bruciarlo, durante la combustione si trasforma in anidride carbonica, riportando l’effetto del gas serra a quello dell’anidride carbonica prodotta per combustione. Pertanto, la produzione di metano da digestore anaerobio non è maggiormente responsabile dell’effetto serra perché, alla fine del processo, l’emissione è di anidride carbonica che si sarebbe comunque prodotta spontaneamente con la naturale degradazione della sostanza organica.
Da sottolineare che il digestato, se sottoposto a un compostaggio adeguato, va a costituire una sostanza organica stabile, che ha tempi di permanenza nel suolo, che vanno da alcuni anni ad alcune decine di anni. Si tratta, quindi, di un vantaggio per l’ambiente perché andiamo ad aggiungere al suolo una quantità di sostanza organica destinata a rimanerci per alcuni anni, che di fatto rappresenta uno stoccaggio di carbonio, seppur per un periodo limitato di tempo.
Qual è il bilancio costi-benefici per le aziende?
È innegabile che la costruzione del digestore rappresenti un costo non indifferente, ma se si riesce a ben calibrare le dimensioni dell’impianto sulla base della grandezza dell’azienda o delle aziende consorziate a questo scopo (le comunità energetiche potrebbero partire anche da qui) e sulla base dei sistemi colturali utilizzati, l’impianto diventa un investimento redditizio, oltre a rappresentare un vantaggio, seppur piccolo, per la bilancia energetica nazionale. Se invece, come spiegavo precedentemente, si esagera con le dimensioni e si è costretti a coltivare per mantenerlo, allora la faccenda cambia notevolmente, perché l’unica fonte di reddito è quella derivante dalla vendita del metano e dalla vendita dell’energia prodotta dalla combustione del metano.
Il CREA ci sta lavorando?
Il CREA sta programmando all’interno di un’azienda del Centro Agricoltura e Ambiente l’installazione di un impianto per la produzione di digestato e, quindi, di metano e, allo stesso tempo e nella stessa azienda, quella di un altro impianto che con l’uso di scarti dell’attività agricola e degli sfalci prodotti lungo le strade o dalle potature – d’accordo con le municipalità – produca, oltre al metano, anche alcol etilico. Si tratta di due processi completamente diversi, perché nel primo caso è una digestione anaerobica, mentre nel caso dell’alcol etilico di digestione semi-aerobica. Siamo di fronte a due prodotti completamente diversi: il metano, usato o venduto per produrre energia elettrica, e l’alcol per ottenere idrogeno, un altro gas destinato alla produzione di energia o come combustibile per macchine agricole. Il tutto con un supporto energetico fornito da pannelli fotovoltaici posti sul tetto dell’azienda stessa. Un sistema di questo tipo, a tutto tondo, rende il 40% in più dell’energia immessa per mantenerlo: è un investimento importante con ricadute positive per l’azienda, che produrrà sia il gas per rifornimento delle macchine agricole, ma anche alcol etilico, che ha un suo mercato.