ROMA – Ignorate del tutto le istanze del settore agricolo e zootecnico. Così Cia-Agricoltori Italiani commenta il voto della Commissione Ambiente del Parlamento Ue, che ha reinserito gli allevamenti bovini nella nuova direttiva sulle emissioni industriali, ribaltando completamente il parere della Commissione Agricoltura di fine aprile che aveva escluso il comparto dalla proposta legislativa europea.
È ingiusto e scorretto equiparare la zootecnia a settori altamente industrializzati -ribadisce Cia-. Gli agricoltori sono continuamente impegnati a ridurre l’impatto ambientale delle loro attività con pratiche sostenibili, tanto che oggi in Ue l’incidenza degli allevamenti sulle emissioni complessive si colloca tra il 7% e il 10%. Ancora meglio fa l’Italia, dove le emissioni di CO2 della zootecnia rappresentano il 5% del totale.
Gli emendamenti approvati dalla Commissione Ambiente del Parlamento Ue, invece, fanno rientrare gli allevamenti bovini, da 300 unità in poi, nel campo di applicazione della direttiva sulle emissioni e abbassano la soglia a 200 unità per gli allevamenti di suini e pollame e a 250 per gli allevamenti misti. Una decisione -osserva Cia- che non tiene conto né degli sforzi costanti delle aziende agricole per impattare sempre meno sul clima, né del fatto che la produzione zootecnica svolge una pluralità di funzioni primarie: assicura cibo ai cittadini, preserva biodiversità e territori, crea valore e occupazione nelle aree rurali e marginali, è indispensabile per lo sviluppo del biogas.
Il Parlamento Ue adotterà la sua posizione finale sul testo nella plenaria di metà giugno -ricorda Cia-. Fino ad allora, la Confederazione continuerà a lavorare con tutti gli europarlamentari per sostenere le ragioni del settore, nonostante i negoziati in salita. Non si può non tenere conto del parere degli agricoltori, e della Comagri stessa, di lasciare fuori gli allevamenti dalla proposta di revisione della direttiva sulle emissioni industriali. Altrimenti si rischia la chiusura e il fallimento di migliaia di stalle, compromettendo la capacità di approvvigionamento comunitario e aumentando l’import da Paesi terzi, con effetti negativi sulla sicurezza alimentare e sulla sostenibilità ambientale.