ROMA – “Purtroppo oggi ‘Etica’ e ‘caccia’ sono diventati termini antitetici e in contraddizione fra loro”.
Inizia così l’intervento ad agricultura.it dell’onorevole Fratelli d’Italia Trentino-Alto Adige, Alessia Ambrosi.
“Spinti da opposti estremismi culturali e ideologici agli antipodi l’uno rispetto all’altro – evidenza l’on. Ambrosi -, i significati connessi oggi all’idea dell’uomo cacciatore ed a quella dell’uomo etico appaiono, nella irriducibile complessità del rapporto tra l’umanità e le risorse del pianeta, apparentemente inconciliabili e destinati a non trovare un comune denominatore capace di ricondurli all’originaria sintesi che sempre hanno avuto nella storia dell’umanità.
La riflessione che voglio proporre è: “la caccia può essere etica?”
“Una domanda che agli occhi di alcuni, immagino sembrerà paradossale. Ma guai se non ne esistesse una e guai a non rispettarla. Parlo naturalmente di caccia e di etica venatoria che, quest’ultima, da secoli si è andata definendo grazie proprio all’esperienza e al lavoro dei cacciatori che con amore e passione vivono e salvaguardano i nostri boschi, le campagne e le colline.
In tale contesto risulta fondamentale definire dei principi di etica in grado di far valere l’importanza della caccia nella società, e mostrare come sia possibile applicare l’umanità del cacciatore nei confronti degli animali. Perché se la caccia viene vissuta come un’espressione di responsabilità e non di sfruttamento verso le specie che vengono cacciate, verso i loro ambienti e anche verso le altre persone che usufruiscono dello stesso territorio, allora la caccia può far parte di un concetto integrale che unisce la salvaguardia della natura con un uso sostenibile delle sue risorse. L’idea che caratterizza l’etica venatoria è quella del buon senso e dell’educazione che consentirà ai cacciatori di oggi e alle generazioni future una convivenza pacifica fra natura e suo massimo fruitore, l’uomo.
Il tema venatorio è oggi al centro dell’attenzione locale, nazionale, arrivando al centro del dibattito anche nell’euroregione e fino a Bruxelles per il ruolo chiave che il cacciatore più giocare sul contenimento per esempio dei grandi carnivori, orsi, lupi, linci. Tematica sentita dalle comunità in particolare quelle valligiane e che merita una seria riflessione.
E’ indiscutibile che la caccia moderna, cioè il modello venatorio che si sta affermando ormai anche nel nostro paese attraverso la formula del ‘prelievo programmato’ (caccia di selezione), rappresenta un contributo operativo offerto da una componente di volontariato maturo e cosciente (il cacciatore), il quale s’innesta in un più complesso programma di gestione di una risorsa rinnovabile quale la fauna selvatica. Se da un lato la caccia in sé è etica per definizione, perché rappresenta una regola naturale insita nelle normali dinamiche che stanno alla base della vita sul nostro Pianeta, vi sono invece questioni etiche che riguardano il come si caccia, cioè i comportamenti che mettiamo in atto per insidiare il nostro selvatico e quelli che adottiamo nei confronti degli altri cacciatori e delle altre persone che frequentano le nostre campagne e i nostri ambienti naturali per altri motivi.
Detto ‘percorso formativo’, oltre che sulle norme vigenti, poggia su direttrici precise, che hanno come riferimento il ruolo che il cacciatore ha nel contesto della gestione faunistica.
Per esempio tra le direttrici risulta fondamentale la conoscenza della fauna selvatica, una necessità per ottemperare alla sua gestione.
La conoscenza delle diverse tecniche di censimento, aspetto importante affinché il singolo cacciatore possa ben collaborare con chi ha conoscenze profonde nel ruolo tecnico-scientifico e di coordinamento della gestione.
O ancora, la conoscenza delle tecniche di caccia, compresa la padronanza sicura in termini di armi e balistica oltre che del tiro, in funzione di corretti prelievi prestabiliti, aspetto che riveste un ruolo determinante nell’efficienza della gestione.
Per non parlare poi del rispetto profondo per gli animali sia durante l’osservazione che nell’azione del prelievo, rispetto che appare ancor più fondamentale nel ruolo del cacciatore, e che deve essere concepito come un atteggiamento verso gli altri e verso sé stessi.
La conoscenza del trattare la spoglia dei selvatici abbattuti, conoscenza che comporta l’avvalorare il concetto di ‘fauna uguale risorsa’ e infine la conoscenza delle tradizioni, della ritualità antica legata alla caccia, del fare possibile attraverso la costante applicazione, per trasmetterlo alle generazioni che verranno, facendo conoscere la nostra storia e per riconoscerci quali interpreti di un preciso ruolo.
Ora, come si può osservare tutte le poc’anzi esposte direttrici sulla eticità della caccia non sono elementi astratti né mere dichiarazioni di intenti, ma aspetti che concretizzano e si inseriscono nella quotidianità dell’attività venatoria.
Se viviamo quindi in un tempo caratterizzato da nuove dicotomie come quella tra l’uomo artefice della propria evoluzione e progresso e la disponibilità ed utilizzo delle risorse naturali, non possiamo non tener presente che lo stato di equilibrio o di disequilibrio nel quale questo rapporto verrà a trovarsi, determinando la qualità futura del nostro modo di vivere, dipenderà in larga misura dal grado di sostenibilità che assumeranno le nostre scelte. In tale contesto, dunque, anche il termine “etica” è inevitabilmente costretto a misurarsi con nuove declinazioni che sappiano sostituire ad una visione “contro” una visione “con”. Questo passaggio di “maturità culturale”, avulso da estremismi ideologici, spiega quindi come la caccia sia etica e possa proporsi in modo maturo e cosciente!
Ricordo anche le parole di uno dei più famosi filosofi contemporanei (oltre che scrittore e giornalista) il grande filosofo conservatore recentemente scomparso, Roger Scruton, che ha scritto: “Si possono amare gli animali e ancora essere convinti che, nelle giuste circostanze, è moralmente possibile mangiarli, dar loro la caccia, tenerli per compagnia. Il punto non è se si possa agire così, bensì quando e come.”
Ecco partendo da questo concetto – prosegue la deputata trentina – possiamo dedurre che la consapevolezza, patrimonio comune dei nostri cacciatori, rappresenta in conclusione un valore consolidato sempre più riconosciuto anche dal resto della società.
Lo sforzo che oggi anche noi rappresentanti delle istituzioni dobbiamo fare quello di far conoscere, scacciandone i pregiudizi, “questa consapevolezza”, questo significato di caccia. La dobbiamo far conoscere per fare in modo che sia rispettata anziché demonizzata, ridisegnando così, assieme alle altre componenti della società, un rapporto con la natura saggio, equilibrato e da tutti condiviso.
Immagino che ora la domanda se ‘la caccia può essere etica’ non sembrerà più cosi paradossale. Spero di aver acceso una riflessione su un tema cosi delicato e fondamentale che riguarda un bene essenziale, la natura, e con essa la qualità della nostra vita e delle generazioni future” ha concluso la Ambrosi.