ROMA – “È sotto gli occhi di tutti come il comportamento dell’uomo stia modificando il pianeta in cui viviamo, e uno degli ultimi esempi più recenti che abbiamo a disposizione è quello del granchio blu, una specie originaria delle coste atlantiche degli Stati Uniti, che negli ultimi anni è arrivata da noi ed è proliferata, diventando una delle specie aliene più dannose del Mediterraneo”.
È quanto dichiara Flavio Pezzoli, presidente dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali (ODAF) della provincia di Roma.
“Sappiamo bene – aggiunge Pezzoli – che il nostro ecosistema marino è sottoposto a importanti pressioni. Abbiamo recentemente appreso, ad esempio, che sono in corso cambiamenti fondamentali nella biogeochimica degli oceani, come l’aumento delle temperature della superficie e del fondale del mare, i mutamenti nella produzione primaria, ossia la quantità totale di materia organica prodotta attraverso la fotosintesi, la riduzione del pH, la diminuzione dei livelli di ossigeno nel sottosuolo delle acque costiere. Sono questi alcuni tra i fattori che generano disturbi sull’ambiente marino, e sono tutti elementi di disturbo di origine umana”.
“Abbiamo osservato, quindi, – continua Pezzoli – come il cambiamento climatico porta anche grandi e gravi conseguenze nella colonizzazione di ambienti marini e di acque dolci da specie aliene tropicali. Queste specie sono state osservate nutrirsi di una varietà di produttori primari e consumatori (insetti acquatici, molluschi, girini). In particolare, alcune di queste specie aliene hanno mostrato un cambiamento di nicchia ontogenetico, con i giovani che occupano una posizione trofica leggermente superiore rispetto agli individui maturi. Nicchie createsi in migliaia di anni che si stravolgono in pochissimo tempo, sia per alcuni pesci sia per alcuni crostacei invasivi. La storia della vita e l’origine geografica giocano un ruolo nel determinare la competizione e il tipo di interazione tra le specie aliene, con specie provenienti dalla stessa area geografica che mostrano un potenziale di competizione inferiore rispetto a specie provenienti da aree diverse, influenzando quindi il loro potenziale impatto sulle specie autoctone”.
“Uno squilibrio dell’ecosistema marino – conclude Pezzoli – potrà avere ripercussioni pesanti anche su un’attività importante per la nostra economia come quella della pesca. Forse già nel 2050 si potrebbe arrivare ad una riduzione degli stock ittici che si aggira intorno al 40% nelle aree tropicali e a una variazione nella loro distribuzione. È evidente, e lo vediamo nel Mediterraneo, come poi questi fenomeni diventano anche fenomeni geopolitici. È necessario, quindi, che tutte le parti interessate, compresi i governi, i pescatori, i gestori delle risorse e i cittadini, collaborino per una governance della pesca che coinvolga tutti, che parta dal basso, che monitori i parametri ambientali, e preveda la realizzazione di un piano di gestione del rischio capace di affrontare e combattere in modo proattivo i molteplici fattori di stress antropico. Noi Professionisti siamo a disposizione dei Governi e delle istituzioni per mettere in rete le nostre conoscenze, le nostre esperienze”.