FIRENZE – Difesa fitosanitaria in olivicoltura: richiede approfondimenti di conoscenze o più trasferimenti di quelle acquisite? Pubblichiamo questo approfondimento a firma di Bruno Bagnoli, Accademia dei Georgofili (link)
Titolo e sottotitolo della Giornata di Studio svoltasi 30 giorni fa all’Accademia dei Georgofili: “Difesa fitosanitaria in olivicoltura: richiede approfondimenti di conoscenze o ha più bisogno di trasferimenti di quelle acquisite?”, sono apparsi alquanto impegnativi, per relatori e interlocutori, sia in ordine all’ampiezza della tematica sia per la domanda retorica da declinare.
L’idea e l’obiettivo non erano ovviamente quelli di fare una trattazione esaustiva della materia ma semmai fornire una selezione di aggiornamenti critici su alcune tematiche di attualità alla luce dei cambiamenti climatici e della variabilità ambientale e colturale della produzione olivicola in Italia.
Primo argomento trattato non poteva che essere quello relativo a Xylella fastidiosa ssp. pauca, agente causale dell’ “OQDS” (Olive Quick Decline Syndrome) che dieci anni or sono investì come un tornado l’olivicoltura pugliese e da allora continua a far tremare i polsi al settore olivicolo, e non solo, dell’arboricoltura circummediterranea. La relazione di Donato Boscia (“Xylella fastidiosa subsp. pauca, agente causale del disseccamento rapido dell’olivo in Puglia: stato dell’arte”), puntuale ed efficace nell’esposizione del quadro attuale del problema, ha mostrato come per una congerie di motivi, l’epidemiologia della malattia si stia ridimensionando in termini di diffusione e di intensità. Più precisamente Boscia ha evidenziato che negli ultimi anni risulta essere in atto un rallentamento della diffusione epidemica della malattia verso nord (Barese) e quasi in parallelo una mitigazione dell’epidemia nell’area originariamente devastata a sud (basso Salento).
Mentre il primo fenomeno sembra attribuibile a cause diverse fra cui la presenza di condizioni climatiche meno favorevoli di quelle del Salento e l’adozione di buone pratiche agronomico-fitoiatriche quali quelle riguardanti la rimozione delle piante infette e il monitoraggio e il controllo delle popolazioni di Philaenus spumarius e degli altri Aphrophoridae vettori (che mostrano di essersi ridotte significativamente in termini di densità), il secondo fenomeno appare imputabile a una drastica diminuzione del serbatoio di inoculo, probabilmente conseguente a una contrazione generalizzata di alte cariche batteriche dovuta a disseccamenti, rimozione di oliveti gravemente danneggiati, utilizzazione di cultivar resistenti nei nuovi impianti, ecc., con la conseguenza di una perdita significativa di efficacia di trasmissione del batterio da parte delle popolazioni dei vettori.
Sebbene esistano ancora situazioni particolarmente critiche tipo quella della piana degli oliveti monumentali a San Vito dei Normanni (BR), dove i disseccamenti sembrano non lasciare scampo alla vitalità delle piante, la presenza di oliveti ancora produttivi frammisti a impianti completamente devastati, torna a mettere in luce come la cura dell’oliveto sul piano agronomico-colturale e fitosanitario si confermi un grande e potente baluardo di resilienza, che la ricerca, più attiva che mai sui vari fronti genetico-molecolari ed epidemiologici, è impegnata a decifrare.
La stessa X. fastidiosa è stata brevemente considerata anche da Stefania Tegli che nella seconda relazione dell’incontro (“Rischi e danni per l’olivo da fitopatogeni: epidemiologia e difesa”), ha in primis tratteggiato l’ampio spettro degli agenti di malattia associati all’olivo: dai virus, fitoplasmi e batteri, ai classici funghi agenti dell’occhio di pavone, della verticilliosi e dei marciumi delle drupe, ai nuovi e meno conosciuti agenti di disseccamenti rameali. Il primo elemento che Stefania Tegli ha inteso sottolineare è stato quello della complessità del sistema olivo in termini di patogeni ed endofiti ad esso associati e delle relative interazioni, gli uni e le altre variabili su scala spazio-temporale e sotto l’influenza dei cambiamenti climatici. Da ciò deriva che la difesa dell’olivo, e maggiormente la protezione ecosistemica dell’oliveto, non possono che richiedere/pretendere un approccio effettivamente multidisciplinare ed integrato, sia a livello di ricerca che di sperimentazione di campo.
È notorio che nessun ambito di difesa fitosanitaria può prescindere da un corretto processo di diagnosi e che questa disciplina ha fatto e continua a fare, grazie all’evoluzione della genetica e della biologia molecolare, passi da gigante, ma è altresì possibile rilevare (quanto meno fra i ricercatori) come lo sviluppo tecnologico-informatico (droni, termocamere, spectral analysis, deep hybrid model, machine learning, ecc.) mostri talvolta, nell’interpretazione di dati indiretti o da remoto, pretese oltre il legittimo che è bene, ai vari livelli, verificare sul piano scientifico dei rapporti fra cause ed effetti.
Ribadita l’importanza del materiale di propagazione ed illustrati gli ultimi aggiornamenti degli schemi EPPO per la produzione di piante e portinnesti di olivo sani (esenti da virus, batteri, ecc.), la relazione ha preso in esame i recenti casi di introduzione/diffusione in aree olivicole italiane ed europee di Fusarium, Rosellina, Phaeoacremonium, Cytospora, Fomitiporia, ecc., con capacità adattive, livelli di patogenicità e cicli biologici nuovi o non precedentemente rilevati. Al riguardo, nuove indagini sulle relazioni fra metaboliti secondari, comunità fungine e incidenza della malattia, hanno permesso di rilevare che la presenza dei marker a-farnesene, r-cymene, Fusarium e Alternaria è negativamente correlata con la tolleranza di piante/cultivar di olivo all’agente dell’occhio di pavone (Venturia oleaginea), mentre la presenza del fungo Pyronema domesticus è risultata positivamente correlata con bassa suscettibilità a detta malattia.
Questi e molti altri risultati di filoni di ricerca in corso evidenziano come l’espressione della malattia dipenda in misura significativa dalla struttura del microbioma associato alla pianta, patogeni compresi. Relativamente alla componente endofitica del microbioma, una scoperta alquanto recente ha messo in luce come la micropropagazione in vitro comporti (non si conoscono ancora i meccanismi) una maggiore ricchezza in endofiti, con tutte le potenziali conseguenze positive del caso.
In conclusione, la difesa fitosanitaria dell’olivo dagli agenti patogeni ha oggi più che mai bisogno di tre fondamentali elementi:
1) processi diagnostici evoluti ed affidabili;
2) disponibilità di conoscenze via via più approfondite sul microbioma per un impiego efficace e sostenibile delle diverse strategie di difesa, comprese in particolare la selezione varietale e l’adozione di mezzi di controllo biologico;
3) cautela/disinteresse per tutto ciò non ha le spalle coperte da ricerca e/o sperimentazione seria.
Il campo degli insetti fitofagi, caratterizzato da popolazioni potenzialmente dannose, è stato aperto dalle relazioni di Angelo Canale e Bruno Bagnoli su: “Bactrocera oleae e Prays oleae: due icone dell’entomologia olivicola dentro la sfida di una intensificazione colturale sostenibile”. In prossimità della raccolta delle olive, in un anno che come quello ancora in corso è risultato assai problematico anche per le bizzarrie delle condizioni meteo, parlare di mosca olearia e fornire per il suo controllo articolate linee d’indirizzo è stato, nell’economia dei tempi, piuttosto arduo. Non richiedendo tuttavia il profilo dell’incontro la presentazione di un decalogo di regole fitoiatriche, bensì la trattazione di criteri di approccio e di gestione del problema delle infestazioni daciche, diverse possibili strategie di difesa della produzione e di controllo della mosca, nonché le loro integrazioni, sono state discusse in modo opportunamente sintetico a seguito della presentazione delle caratteristiche bio-eco-etologiche di B. oleae.
La specie sembra ancor oggi irridere alle possibilità di un suo controllo efficace ed ecosostenibile sia in “integrato” che in “biologico”, ma al di là delle chance fitoiatriche derivati dalla manipolazione del suo comportamento riproduttivo d’ordine semiochimico e della sua endosimbiosi con Candidatus Erwinia dacicola, potrebbe trovare un sostanziale ridimensionamento della sua dannosità semplicemente attraverso un’elevazione significativa delle produzioni per unità di superficie.
Biologicamente vicina alla mosca, per vari aspetti, ma altresì lontana da essa per molti altri parametri, la tignola, Prays oleae, è stata presentata, nell’elevata variabilità della sua dannosità potenziale ed effettiva, come un fitofago bio-indicatore di stabilità colturale. La prospettiva di poter a breve aver ragione della possibile nocività delle sue due prime generazioni annuali (antofaga e carpofaga), attraverso la prossima disponibilità del metodo della confusione sessuale tramite dispositivi aerosol, eventualmente integrato da applicazioni di insetticidi microbiologici, oltre a rasserenare il futuro su questo fronte, conferma l’importanza dell’interazione/integrazione fra ricerca applicata pubblica e sviluppo sperimentale tecnologico industriale.
Le due relazioni seguenti di ambito entomologico (afferenti a: “Halyomorpha halys, Palpita vitrealis e Dasineura oleae: nuovi e rinnovati problemi alla luce dei cambiamenti climatici e dei differenti ecosistemi olivicoli”), svolte nell’ordine da Eric Conti (H. halys) e Alice Caselli, hanno anzitutto evidenziato come ormai da tempo il concetto di specie chiave debba essere rivisto o per meglio dire ri-declinato. In effetti, specie esotiche invasive tipo H. halys, nonché specie indigene quali D. oleae e P. vitrealis, possono in determinate condizioni agronomico-colturali, sviluppare popolazioni d’importanza economica localmente e/o temporalmente superiori anche a quelle della stessa B. oleae. H. halys dopo aver imperversato su varie importanti colture arboree, e non solo, del nord Italia, ha in anni relativamente recenti, in virtù della sua ampia polifagia, minacciosamente penetrato anche l’olivicoltura settentrionale e centrale del nostro Paese. In quest’ambito i danni ascritti alla sua attività trofica fitomiza consistono principalmente nell’induzione di una cascola dei frutticini punti dagli stiletti boccali di adulti e forme preimmaginali. Per il pentatomide le prospettive di controllo sono le stesse definite, o in corso di definizione, previste per la difesa di altre colture frutticole e si attestano con saggia lungimiranza sul controllo biologico naturale (a mezzo di parassitoidi) e tecnologico (a mezzo di dispositivi per “mass trapping” e “mating disruption”), oltre che sulle reti antinsetto che stanno trovando validità applicativa principalmente contro la mosca anche in Toscana, in impianti ad alta densità con forme di allevamento in parete, non soggetti a potatura e raccolta meccanizzata.
Sebbene la fisionomia bio-etologica di D. oleae e P. vitrealis sia molto diversa da quella della cimice asiatica, se non altro per la loro mono-oligofagia a carico del genere Olea, in questi ultimi anni i due fillofagi hanno dato prova di essere sorprendentemente in grado di andare oltre i consueti e noti limiti di dannosità, specie in oliveti intensivi o super intensivi di recente impianto. Al riguardo occorre sottolineare che cambiamenti climatici da una parte, e nuovi modelli olivicoli ad alta densità dall’altra, potrebbero esaltare la dannosità di detti fitofagi specie in condizioni spazio-temporali di impoverimento della biodiversità ecosistemica. Allo stato attuale, mentre le popolazioni di P. vitrealis sono facilmente gestibili con trattamenti insetticidi a base di Bacillus thuringensis (eventualmente applicati contro la generazione antofaga di P. oleae), più difficoltoso è il controllo fitoiatrico di D. oleae per la quale resta comunque intera la plausibile speranza di regolarla nelle sue dinamiche di popolazione attraverso l’ausilio tutelato e valorizzato dei suoi antagonisti entomofagi.
Ultima relazione programmata è stata quella di Osea Putignano (“L’evoluzione dell’olivicoltura tra cambiamenti climatici ed emergenze fitosanitarie”) che ha generosamente tratteggiato i caratteri dell’olivicoltura pugliese, e nazionale in generale, tornando a richiamare l’attenzione sulla sfida imposta un decennio fa da X. fastidiosa, che ora, grazie alle diverse strategie di controllo fitoiatrico, agronomico-colturale e genetico-varietale, pare aver assunto una valenza meno drammatica.
A questo punto, volendo in conclusione dare una risposta alla domanda espressa dal sottotitolo dell’incontro, è lecito sostenere (sia pure con un minimo di retorica) che senza ricerca di base ed applicata non si va da nessuna parte e che spetta in primo luogo all’Università il duplice compito, integrato e interattivo, della ricerca scientifica e della formazione professionale.
Foto: Femmina di Bactrocera oleae su oliva con preesistenti ferite di ovodeposizione.