PERUGIA – Costi di produzioni in forte aumento, dall’energia ai mangimi, mercato stagnante e il settore dei bovini da carne è in forte difficoltà, con una diminuzione delle macellazioni calate di quasi il trenta per cento nel primo trimestre dell’anno.
E poi le fake news che vanno sistematicamente il settore zootecnico, quando i dati scientifici dicono altro. Puntare sulla qualità e sulla corretta informazione verso il consumatore ed il mercato. E sulla carne artificiale: “contribuirebbe al riscaldamento globale da 4 a 25 volte in più rispetto alla carne prodotta negli allevamenti”.
Ne abbiamo parlato con Luca Panichi, presidente Anabic – Associazione nazionale allevatori bovini italiani da carne, ospite di agricultura.it
Presidente Panichi, qual è lo stato di salute del settore bovini da carne?
Il settore bovini da carne in Italia sta vivendo un momento di difficoltà, in particolare per gli allevatori delle razze autoctone a causa di un mercato stagnante, una domanda molto debole e prezzi particolarmente bassi che non compensano l’aumento dei costi di produzione. Parallelamente, sul fronte dei consumi, assistiamo a un aumento delle importazioni di carne dall’estero a prezzi più contenuti rispetto a quella nazionale e per questo più rispondente alle minori capacità di spesa dei consumatori, costretti a fare i conti con gli effetti legati all’aumento dell’inflazione e a quello più generalizzato dei prezzi dei prodotti alimentari. La conseguenza diretta è stata la riduzione del numero di capi allevati in Italia che nel nostro Paese ha portato anche a una contrazione delle macellazioni, diminuite del 28% nel primo trimestre dell’anno in termini di peso globale delle carcasse.
Per quanto riguarda le carni delle razze bovine italiane autoctone, che pur essendo razze locali di grande qualità ma di ridotte consistenze non godono di un’organizzazione di mercato che ne valorizzi a pieno le peculiarità, si registra una crescente sofferenza in termini di sostenibilità economica a causa di una continua erosione dei margini di produzione che si sono ormai pesantemente ridotti e fanno ipotizzare, nei prossimi mesi e anni, se le condizioni di mercato non si riprenderanno, un’ulteriore riduzione dei capi allevati.
Quanto hanno influito le dinamiche internazionali, per le materie prime, mangimistica, e costi energetici?
L’aumento dei costi energetici e delle materie prime conseguenti alle note crisi internazionali, nonché dei tassi di interesse che stanno bloccando gli investimenti in un settore che invece ne ha molto bisogno, sono state determinanti perché hanno appesantito un comparto che viveva già una situazione di precarietà economica. L’aumento dei costi di produzione ha accelerato notevolmente questo processo al quale non è facile porre rimedio.
Quanto costa mediamente mantenere un allevamento bovino?
Dipende dal tipo di allevamento che si prende in considerazione. E’ diverso il costo di produzione per chi alleva secondo la linea vacca-vitello, quando in pratica l’azienda che produce vitelli li porta fino all’ingrasso, rispetto all’allevamento che effettua solamente la fase di ingrasso acquistando vitelli giovani (generalmente all’estero) e li porta fino all’età della macellazione. Altra tipologia sono ancora quelle aziende zootecniche che allevano vacche per la produzione di vitelli venduti successivamente all’età di 6/7 mesi ad altri allevatori per la fase di ingrasso, come avviene per la maggior parte delle aziende che producono razze italiane autoctone.
In generale, comunque, l’indice Ismea dei prezzi dei mezzi di produzione per le carni di vitellone ha raggiunto 138 punti con un aumento di 5 punti rispetto a maggio 2022. Se prendiamo in considerazione il costo dei mangimi, che rappresenta mediamente il 24% dei costi totali di produzione, quest’anno l’aumento dell’indice è stato ancora superiore con un aumento di 10 punti sempre rispetto a maggio 2022. Ne consegue una riduzione netta e generalizzata della redditività degli allevamenti che in alcuni casi si avvicina allo zero e che mette a rischio la produzione nazionale.
Allevamenti sempre più sotto attacco di una certa informazione e di fake news, ma i dati scientifici (fonte Ispra) dicono che le emissioni delle stalle sono diminuite del 14,2%. Qual è il suo punto di vista, anche in termini di comunicazione?
Purtroppo gli allevamenti, e in particolare quelli bovini, sono oggetto di un inspiegabile attacco mediatico senza precedenti che ha l’obiettivo di demonizzare in modo irrazionale e senza nessuna base scientifica l’attività delle aziende zootecniche, accusate di essere la principale causa della crisi climatica che stiamo vivendo. Penso sia evidente a tutti che si tratti di una grande operazione di “distrazione di massa” a livello globale, basata su dati distorti e manipolati ad arte per aprire la strada alla produzione di carne sintetica. L’allevamento di bovini infatti esiste da millenni nel nostro pianeta e negli ultimi anni il suo numero totale si è addirittura ridotto, mentre il fenomeno dell’innalzamento della temperatura del pianeta si è manifestato negli ultimi anni.
Se prendiamo in considerazione l’Italia, i dati ufficiali dell’Ispra avvalorano quanto ho detto: il settore agricolo italiano, nel suo complesso, contribuisce per il 7,8% delle emissioni totali di gas serra delle quali il 5,85% è dovuto alla zootecnica e solamente il 4,1% ai bovini da carne e da latte. Questi sono i dati scientifici ufficiali sull’impatto vero dell’allevamento bovino italiano riguardo le emissioni di gas serra, che però nessuno afferma in modo inequivocabile.
La ‘carne’ artificiale può essere una minaccia per gli allevamenti italiani?
La carne artificiale non è solo una minaccia per gli allevamenti italiani, lo è soprattutto per il consumatore italiano. Gli ingenti investimenti che nel mondo vengono fatti per la ricerca e la produzione di questo prodotto hanno come principale motivazione l’ottenimento di ingenti ritorni economici a favore di pochi soggetti investitori che ne esaltano i presunti vantaggi ambientali. Una recente ricerca dell’Università di Berkeley invece ha calcolato che l’impatto ambientale della produzione di carne coltivata in laboratorio a breve termine sarà più alto di quello provocato da tutta la carne prodotta dagli allevamenti e che un kg di carne prodotta in laboratorio contribuirebbe al riscaldamento globale da 4 a 25 volte in più rispetto alla carne prodotta negli allevamenti.
Per quanto riguarda in particolare l’Italia, con la Legge che ne prevede il divieto di produzione e commercializzazione, gli allevatori italiani potranno tirare un respiro di sollievo ma il problema rimane. Le fake news sulla “pericolosità” degli allevamenti bovini e l’avvento della carne sintetica sono comunque una minaccia per l’intero sistema produttivo zootecnico nazionale che, pur essendo tra i più sostenibili a livello mondiale, rischia di essere travolto da questa deriva ideologica con danni inimmaginabili non solo per gli allevatori, ma anche per l’equilibrio ambientale e socio-culturale delle aree interne e marginali italiane che sono quelle dove l’allevamento bovino è più presente.
La qualità degli allevamenti e della carne italiani: sono un valore per quanto riguarda i consumi?
La qualità delle carni dipende dai sistemi di produzione e dalla tipologia degli allevamenti oltre che dalle caratteristiche intrinseche delle diverse razze. Il sistema di produzione delle razze bovine autoctone italiane è tra i più sostenibili e sicuri in quanto le aziende, in larghissima maggioranza di piccole dimensioni, fanno un enorme ricorso al pascolo e all’allevamento estensivo con notevole utilizzo di fieno e prodotti aziendali.
Le carni delle razze bovine autoctone hanno una qualità nutrizionale di notevole pregio perché sono povere di colesterolo e di acidi grassi saturi, ma ricche di proteine nobili e acidi grassi insaturi positivi per il nostro organismo. Le razze italiane sono inoltre radicate nei nostri territori da secoli e rappresentano anche un fondamentale valore sociale in molte aree. Purtroppo, come filiera della carne bovina delle razze autoctone italiane, non riusciamo ancora a trasferire pienamente queste qualità e questi valori al consumatore e a favorire l’aumento dei consumi. Una maggiore consapevolezza sugli apporti in termini di qualità e di benessere derivanti dalle carni delle razze italiane giustificherebbe anche il pagamento di un prezzo leggermente superiore a quello riconosciuto alla carne indifferenziata e di basso costo, che è quasi sempre di provenienza estera. Questo potrebbe favorire un aumento della domanda di carne ottenuta dalle razze italiane e un maggior ritorno economico anche per i nostri allevatori.
Nei giorni scorsi la sua proposta di arrivare ad un hamburger di chianina con carne 100% certificata: la strada per un reddito equo è quindi quella della qualità?
Crediamo sia necessario utilizzare tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione, come filiera, per valorizzare la qualità; tra questi l’IGP del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale è uno dei più importanti e desideriamo che sia utilizzato al meglio per tutelare gli allevatori delle razze italiane come previsto dal Disciplinare di produzione. Da ciò è nata la nostra richiesta al Consorzio IGP di concedere l’autorizzazione all’utilizzo del marchio del medesimo Consorzio solamente a chi utilizza il 100% carne IGP nei prodotti trasformati a base di carne, e in particolare negli hamburger che sono il prodotto più utilizzato da tutte le fasce di età dei consumatori.
Il nostro intento è quello di evitare di trasmettere al mercato messaggi confusi o fuorvianti a vantaggio invece di una comunicazione chiara e trasparente: “è hamburger di Vitellone Bianco dell’Appenino Centrale solamente se il 100% della carne proviene da carne IGP”. Il tutto per dare più valore al marchio di qualità IGP e alle razze che rappresenta: Chianina, Marchigiana e Romagnola.
Quali i progetti di Anabic per i prossimi mesi?
ANABIC, in qualità di Ente Selezionatore riconosciuto dal Ministero dell’Agricoltura, ha come compito principale quello del miglioramento genetico e su questo fronte, attraverso i nostri Centri Genetici di Perugia, Grosseto e Potenza, continueremo a selezionare i migliori riproduttori maschi per dare agli allevatori animali sempre più efficienti e produttivi. Intendiamo inoltre proseguire nello studio dell’indice di efficienza alimentare, cioè la capacità di utilizzare al meglio il fieno e il mangime con conseguente riduzione delle emissioni di metano e quindi maggiore sostenibilità dell’allevamento. Sul piano della tutela delle razze e della loro identità sarà rafforzato il controllo delle genealogie dei riproduttori con l’obbligo di accertamento genomico attraverso l’esame del DNA delle vacche al primo parto, al fine di garantire al massimo livello l’appartenenza alla razza a garanzia dell’autenticità del prodotto.
Sul piano della promozione delle razze autoctone italiane che Anabic rappresenta cioè Marchigiana, Chianina, Romagnola, Maremmana e Podolica, intendiamo puntare sempre più su una comunicazione rivolta al grande pubblico dei consumatori ma anche agli operatori specializzati della filiera, come macellai e ristoratori, per far conoscere ed esaltare le caratteristiche peculiari della carne e dei sistemi di allevamento altamente sostenibili impiegati per produrla .