FIRENZE – Noi lo chiamiamo olivo. Ovvero la pianta che produce le olive e quindi l’olio d’oliva. Ma come registriamo quotidianamente, in alcune zone del Paese – anche fra i nostri lettori – è ancora in uso il termine ulivo, che resiste fra letteratura e tradizione popolare.
Per avere un parere scientifico su questa diatriba che sembra non risolversi mai, abbiamo scomodato l’Accademia della Crusca, che da più di 400 anni è il punto di riferimento della lingua italiana nel mondo e il suo vocabolario (1612) ha fornito un modello di riferimento per tutta la lessicografia moderna.
Ringraziamo Matilde Paoli, Redazione consulenza linguistica Accademia della Crusca, per questo documento pubblicato nella rivista online “Italiano digitale” II, 2017/2 (luglio-settembre), pp. 57-60.
Sull’oscillazione nell’uso tra olivo e ulivo
di Matilde Paoli
Consultando il TLIO, Tesoro della Lingua Italiana delle Origini, ovvero il vocabolario storico dell’italiano antico, basato sull’intera documentazione disponibile, dall’Indovinello veronese fino ai testi della fine del Trecento, al lemma olivo (significativamente scelto dai curatori dell’opera) possiamo verificare che fin dalle origini l’italiano aveva a disposizione per indicare l'”albero del genere Olea, coltivato per la produzione di olio” entrambe le forme maschili olivo e ulivo, accanto alle femminili corrispondenti oliva e uliva, più coerenti con l’uso latino del femminile per indicare l’albero. A prescindere dal genere, le due forme in o- ed u- iniziale sono attestate in documenti datati a partire dalla seconda metà del XIII secolo, olivi nel 1257 e ulivi nel 1292, entrambi in testi fiorentini; più rilevante la differenza nella quantità delle attestazioni (cinque per olivo e tredici per ulivo) e per l’area di provenienza dei testi: fiorentina e genericamente toscana per ulivo, fiorentina, senese, aretina, bolognese e genericamente emiliana per olivo; il femminile uliva ha sei attestazioni, sempre in testi toscani fino al Petrarca, mentre oliva trova la prima di otto attestazioni in un documento lombardo del 1274, e poi in testi di provenienza lucchese, siciliana, pisana, perugina, veneta e romana. A fianco di oliva e uliva compare, anche se in misura minore auliva, attestato in un documento bolognese, in uno siracusano e infine in uno napoletano.
Per quel che riguarda le denominazioni del frutto dell’olivo, la situazione pare praticamente sovrapponibile, con oliva accanto a uliva, ma mentre uliva trova una testimonianza in Ricette mediche toscane del XIII secolo, le prime attestazioni di oliva risalgono al XIV secolo; anche in questo caso si affianca la forma auliva (e aulivo), che come annota Pär Larson che ha curato la voce del TLIO, “sarà probabilmente un sicilianismo (benché tale forma dittongata compaia già nei documenti latini toscani del sec. VIII)”.
Per la tradizione delle due forme nella letteratura abbiamo a disposizione il corpus della Biblioteca italiana, interrogabile anche per fasce cronologiche: dalla consultazione risulta una continua alternanza nell’uso delle due forme con periodi in cui olivo risulta più usato, come nel ‘500, secolo in cui si pone la questione della lingua nazionale, ed altri di sostanziale equilibrio; solo nell’800, secolo che vede la riproposizione del toscano/fiorentino come lingua nazionale, si ha un aumento appena sensibile delle frequenze di ulivo; il ‘900 riporta nettamente in vantaggio olivo: se Pascoli mostra ancora una distribuzione quasi equivalente, il senese Federigo Tozzi opta decisamente per la forma in o-. Per quel che riguarda oliva e uliva, la differenza resta sempre a favore della prima forma, con una differenza rilevante nel ‘500, fino ad una situazione di apparente equilibrio nell’800; nel ‘900 solo il Pascoli, all’interno del corpus considerato, ha ancora uliva.
Il percorso delle due forme attraverso la lessicografia mostra nelle prime due edizioni del Vocabolario degli Accademici della Crusca il solo lemma ulivo, ampiamente attestato dai grandi autori trecenteschi (da Dante a Villani), mentre oliva compare accanto a uliva fin dal 1612; dalla terza edizione i due lemmi sono trattati singolarmente ed è rilevante notare che la quinta edizione (1923) annota ulivo come forma popolare. Il Nòvo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze (Firenze, Cellini, 1870-1897), lo strumento con cui, all’indomani dell’unità, si proponeva il fiorentino come base della lingua nazionale, registra sia ulivo che olivo, ma la trattazione del lemma è sotto ulivo, e benché non vi sia alcuna notazione su differenze d’uso, nelle definizioni è sempre usato ulivo; anche per oliva il rimando della trattazione è a uliva.
Il Nuovo dizionario universale della lingua italiana di Policarpo Petrocchi (Milano, Treves 1902) non fa alcuna distinzione fra olivo e ulivo, mentre per il frutto uliva è “più comune” di oliva; però la trattazione completa è sotto le forme inizianti per o-. Le edizioni dello ZINGARELLI – a partire dal 1917 (Milano, Bietti e Reggiani) – hanno la trattazione del lemma a oliva e olivo, senza che si diano mai notazioni sull’uso; altrettanto accade per i principali dizionari sincronici dei nostri giorni, con la sola eccezione del GRADIT che registra ulivo come variante di uso comune, mentre olivo è glossato come “di alto uso”, cioè fa parte di quel nucleo di lessico ad alta frequenza che costituisce la base della comunicazione scritta o parlata; uliva è letterario, mentre oliva è tra i lemmi classificati come fondamentali, quel gruppo di vocaboli che costituiscono circa il 90% delle occorrenze lessicali dei testi scritti o parlati. A partire dal 1995, il termine Ulivo (con la maiuscola) assume anche l’accezione di ‘raggruppamento politico del centrosinistra’, che introduce un nuovo elemento nella dinamica del rapporto tra le due varianti, registrato dalla lessicografia contemporanea: dall’edizione 2002 dello ZINGARELLI la trattazione passa sotto ulivo, con l’aggiunta della nuova accezione; lo stesso accade per il DISC dall’edizione 2004; mentre il Devoto Oli nell’edizione 2004/2005, continua a trattare il lemma sotto olivo, aggiungendo al rimando la nuova accezione sotto ulivo.
Per ciò che riguarda i lessici tecnici, sia per quelli riguardanti l’agricoltura che per quelli riguardanti la botanica, si nota il passaggio da ulivo a olivo: se nel Vocabolario di agricoltura di Eugenio Canevazzi del 1892 (Rocca San Casciano, Cappelli) alla voce olivo (e oliva) si rimanda a ulivo per la trattazione del lemma, il Dizionario di agricoltura, diretto da Alfonso Carena del 1956-1957 (Torino, UTET), presenta soltanto olivo; così, mentre nella seconda edizione del 1825 del Dizionario botanico italiano di Ottaviano Targioni Tozzetti (Firenze, Guglielmo Piatti) ulivo, uliva hanno la trattazione del lemma, nel Lessico di botanica dell’Editrice La Scuola (Brescia, 1979) troviamo solo olivo, anche se, a testimoniare la persistenza dell’uso oscillante, il successivo Dizionario di botanica della Rizzoli (Milano 1984) ha a lemma “olivo o ulivo” “oliva o uliva“, benché compaiano solo le forme con o- nelle definizioni
Oltre alla tradizione letteraria e lessicografica, per queste forme in particolare, occorre considerare anche quella relativa alle sacre scritture, spesso veicolo di forme arcaiche proprio in virtù della sacralità attribuita alla parola. Nella liturgia cattolica del periodo pasquale, durante le celebrazioni vengono letti ai fedeli due brani dal Vangelo secondo Marco in cui compare il toponimo Monte degli Ulivi: “E quando si avvicinarono a Gerusalemme, a Betfage e Betania, vicino al Monte degli Ulivi …” (Mc 11,1, La Bibbia concordata, a cura della Società biblica italiana, Milano, A. Mondadori, 1969 3a ed.) ed anche: “E, dopo aver recitato l’inno, uscirono verso il Monte degli Ulivi” (Mc 14, 26, Ibid.). D’altra parte dal Vecchio testamento nel racconto della fine del diluvio universale (Genesi 8, 11, Ibid.) proviene il sintagma, esteso a contesti profani e diffuso nell’uso comune, ramoscello d’olivo, che per quanto presenti o- iniziale nell’edizione citata della Bibbia, resiste nell’uso con la u– (9.430 occorrenze documentate da Google per ramoscello d’ulivo contro le 2.570 per ramoscello d’olivo). Un’altra espressione veicolata dalla liturgia cattolica è Orto degli ulivi, presente nella denominazione ufficiale Gesù in agonia nell’Orto degli ulivi, data alla prima stazione della Via Crucis (Via Crucis – Secolo XX Archivio Casa Generalizia S.V.D.- Roma); e si ricorda ancora che per Domenica delle palme è usata anche la denominazione Domenica degli ulivi (registrata a partire dalla IV edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca), assai diffusa a livello dialettale soprattutto in Italia settentrionale e in Toscana (cfr AIS IV 776), ma anche nell’uso corrente (492 occorrenze in rete di contro alle 32 di Domenica degli olivi).
Una ulteriore considerazione da fare è che la coltivazione dell’olivo è diffusa ampiamente in tutto il territorio nazionale, quindi la terminologia relativa in lingua non può prescindere dal rapporto che si instaura con le varietà regionali e locali, in quanto, come scrive Annalisa Nesi, “Il lessico tecnico delle attività tradizionali (agricoltura, pesca, cura del bosco, ecc.) appartiene alle diverse varietà dialettali presenti sul nostro territorio ed ha nella lingua italiana gradi diversi di standardizzazione”(CaLiTraT – Un progetto sulla cultura del castagno in Toscana con sviluppi interregionali, in Circolazione d’idee, libri, uomini e culture, in corso di stampa, pp. 241-258: 242). In particolare per quel che riguarda la Toscana ulivo è voce tradizionale dell’intera regione (Teresa Poggi Salani la mette tra i toscanismi citati nel suo La Toscana); parallelamente uliva, forma quasi del tutto scomparsa in lingua, era, come si può constatare consultando ALTWeb, la banca dati che rende disponibile in rete il patrimonio lessicale raccolto dall’Atlante Lessicale Toscano, ancora fortemente radicata a livello locale nell’espressione (rac)cogliere/raccattare l’ulive, anche nell’uso dei più giovani fino agli anni ’80 del secolo scorso. Per il panorama nazionale, sulla base dei dati dell’AIS relativi alla carta 1353 del volume VII ‘L’oliva, Le olive’ e al Cp. della stessa ‘L’olivo’, si può affermare che Veneto, Trentino, buona parte della Sardegna, e la porzione settentrionale del Lazio, hanno le forme in o-, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia hanno auliva, aulivo (anche nelle forme aliva o avuliva) e la restante parte della penisola ha uliva, ulivo.
Per ciò che riguarda l’uso standard corrente un sondaggio sul materiale proposto in rete mostra nei siti delle università, del CNR, di istituti scientifici in genere, l’impiego quasi esclusivo di olivo; così anche nel sito del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (anche se risulta che il Ministro Paolo De Castro usò ulivo in un suo discorso del 12 luglio 2007), mentre in quello del Corpo forestale dello Stato si mostra un uso oscillante; lo stesso si può rilevare nei testi delle Normative Regionali inerenti alle coltivazioni o nei Bollettini fitosanitari regionali (resiste per esempio, seppur minoritaria, la variante in u- in mosca, tignola, carie dell’ulivo). Ancora oscillazione fra le due forme si rileva nei settori legati ad ambienti specifici (vivai, giardini botanici, riviste di giardinaggio, aziende legate al mondo agricolo), in piena coerenza con l’affermazione di Nesi riportata sopra, anche se sembra potersi cogliere in generale un vantaggio a favore di olivo, specialmente in siti di rilevanza nazionale, come quello del CNO, Consorzio Nazionale degli Olivicoltori, che sembra avere solo olivo. Ulivo, ed anche uliveto (familiare come denominazione di una famosa acqua minerale), sembrano invece preferiti per le denominazioni di agriturismi, alberghi, villaggi turistici e ristoranti, probabilmente per la capacità delle forme tradizionali di evocare atmosfere di altri tempi che paiono garantire una migliore “qualità della vita”; d’altra parte oliveto sembra ricevere impulso dalla presenza in toponimi prestigiosi quali il Monte Oliveto Maggiore dell’omonima abbazia in provincia di Siena e soprattutto il Monte Oliveto di Palestina. Uliva pare quasi del tutto scomparso dall’uso in lingua, anche per l’affermazione esclusiva di oliva nel sintagma olio di oliva che costituisce l’etichetta imposta dalla normativa al prodotto: significativa la denominazione commerciale Olio d’Uliva di un olio toscano, immediatamente seguita, per rispetto delle normative inerenti al settore, dalla dicitura “olio extravergine di oliva”.
Concludendo, sembra che ulivo, col derivato uliveto, oltre che in Toscana, resista, non tanto nell’uso letterario contemporaneo orientato verso olivo, ma in ambiti tecnici e normativi, più che scientifici, e nell’uso comune, sostenuto dalla diffusione nelle varietà dialettali di una parte della penisola, dal suo impiego nella liturgia cattolica e più recentemente dalla comparsa della nuova accezione legata alla vita politica nazionale; d’altra parte è evidente che olivo, sostenuto dal parallelismo con oliva, ormai esclusivo fuori di Toscana, già maggioritario pressoché in tutti i settori, è destinato a diffondersi sempre più, come testimoniano le forme derivate olivicoltore, olivicoltura, creazioni del XX secolo (DELI), che praticamente non prevedono la variante in u.
Nota bibliografica:
- AIS K. Jaberg – J. Jud, Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, Zofingen, Ringier & Co., 1928-1940
- Atlante Lessicale Toscano (ALT-Web)
- Biblioteca Italiana, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
- T. Poggi Salani, La Toscana, in L’italiano delle regioni Lingua nazionale e identità regionali, a cura di F. Bruni, Torino, UTET 1992, pp. 402-450
- TLIO Tesoro della Lingua Italiana delle Origini