ISTANBUL – La tradizionale coltivazione delle olive in Turchia è entrata a fare parte della lista dei patrimoni immateriali dell’Unesco. Lo ha annunciato il ministro del Turismo e della Cultura di Ankara, Mehmet Nuri Ersoy. Conoscenze, abilità, metodi che vanno dalla potatura degli alberi a quelli di raccolta delle olive e alla loro spremitura, tramandati di generazione in generazione, potranno così godere di una ulteriore tutela, universalmente riconosciuta.
Durante la riunione all’Unesco, tenutasi a a Kasane, in Botswana, la Turchia ha presentato altre quattro richieste per l’inclusione nella lista di elementi culturali come patrimoni immateriali dell’Unesco: “Food/Balaban Craftsmanship and Execution,”, “Socio-Cultural Traditions Related to Iftar and Iftar”, “Art of Attraction” e “Art of Charity. Per la tradizionale coltivazione delle olive l’inserimento è stato immediato, per le altre quattro proposte si è ottimisti circa un loro recepimento. Se anche queste venissero incluse, ha aggiunto il ministro, Ankara si classificherebbe al secondo posto nella lista, con un totale di 30 elementi.
La Turchia è uno dei paesi più grandi al mondo per la coltivazione dell’olivo e l’olio d’oliva. Nell’anno agricolo 2022/23, il paese ha prodotto a il record di 421.000 tonnellate di olio d’oliva e 735.000 tonnellate di olive da tavola.
Oltre all’importanza sociale delle olive e della raccolta delle olive, l’UNESCO ha riconosciuto anche l’unicità della regione Kalem (che significa matita in turco) metodo di innesto degli olivi selvatici. Gli agricoltori incidono due piccole scanalature lungo i bordi opposti di uno stretto ceppo d’albero, noto anche come portinnesto, utilizzando un coltello. Successivamente, si prendono due marze di olivo e si affila ciascuna base per inserirla nelle due scanalature del portinnesto.
Gli agricoltori quindi ricoprono la parte superiore del portinnesto e la base delle marze con il fango per proteggerle dall’aria e dal sole. Anche la parte del portinnesto sottostante dove vengono inserite le marze viene ricoperta di fango per mantenerla fresca. Il fango in genere rimane sul posto per due o tre anni. Successivamente, i contadini avvolgono l’innesto con della carta per evitare che il fango venga dilavato dalla pioggia o seccato dal sole. La carta è fissata con una vite rampicante di un cespuglio locale, che può trattenere la carta e il fango fino a tre anni.