VERONA – Un regolamento europeo e una legge nazionale sulle biotecnologie per avere in campo colture più resistenti al climate change e alle fitopatie. È quanto serve all’agricoltura per affermare un cambio di paradigma netto di fronte alle emergenze climatiche, ambientali e fitosanitarie, e ancora di più per mettere al riparo dagli eventi catastrofali la Dop economy, che ha superato i 20 miliardi di produzione, ma che dipende, completamente, dalla salute dei territori, elemento cardine del sistema di certificazione. Di questo si è parlato alla 116° edizione di Fieragricola con il convegno tenuto da Cia-Agricoltori Italiani, in Sala Salieri, dal titolo “Dop e Ipg nella crisi climatica”.
Finora i cambiamenti climatici hanno tolto all’Italia un frutto su quattro e messo a rischio circa 1200 prodotti. Un centinaio, sottolinea Cia, sono Dop e Igp. Praticamente, sotto temperature elevate e siccità, gelate e alluvioni, il nostro Paese, primo al mondo per numero di denominazioni, 855 tra cibo e vino, vede compromesso già il 10% delle sue produzioni certificate.
Dal Piemonte alla Sicilia, tra le regioni più in difficoltà, sono sotto i riflettori vere eccellenze del Made in Italy agroalimentare di qualità, come la robiola di Roccaverano Dop, la mela dell’Alto-Adige Igp, l’olio extravergine Garda Dop, il pomodoro San Marzano Dop, i limoni di Sorrento Igp e il pecorino siciliano Dop. La cozza di Scardovari Dop è minacciata dal granchio blu, i vigneti Dop e Igp, specie al Centro-Sud, soffrono sotto la peronospora, mentre l’alluvione ha dato il colpo di grazia, in Emilia-Romagna, a tipicità come il lambrusco di Sorbara Doc e le pere Igp, quest’ultime in picchiata produttiva del 75%.
Per un’ampia quota della filiera delle Indicazioni geografiche tra i principali effetti “emergenziali” ci sono, infatti, siccità e innalzamento delle temperature (86%), alterazione del microclima negli areali di produzione (68%) grandine (55%) e alluvioni (42%), un toccasana sulla diffusione di almeno 40 patologie vegetali e animali (flavescenza dorata, mal dell’esca, oidio, mosca, brucellosi, solo alcune). A parte, ma a fare il totale, il peso della crisi economica, tra aumento dei costi delle materie prime, mancanza di manodopera e concorrenza sleale.
Criticità che hanno visto Cia in mobilitazione a Roma il 26 ottobre e poi a confronto con le istituzioni in assemblea a fine anno, con in mano la proposta di un Piano nazionale per l’agricoltura che sollecita rispetto alla crisi climatica: un Fondo unico per le fitopatie, una programmazione strutturata a supporto dell’agricoltura di precisione, un nuovo piano acque a uso irriguo per i periodi più siccitosi e una revisione, urgente, degli strumenti di gestione del rischio.
“La sfida contro i cambiamenti climatici -ha detto il presidente nazionale di Cia, Cristiano Fini- va vinta adesso, con un approccio multidisciplinare, orientato da ricerca e innovazione sostenibile, che contempli questo mix di misure e progetti operativi. In parallelo, serve un’azione forte da parte dell’Europa a partire dal regolamento sulle Ngts. Bruxelles smetta, dunque, di deludere gli agricoltori e riveda vincoli e obblighi Pac e Green Deal -ha aggiunto-. Lo diciamo da sempre, la transizione verde deve essere graduale e costruita insieme al comparto agricolo, con soluzioni alternative per continuare a operare in competitività. L’Europa può ancora essere dalla parte degli agricoltori, lo ha già dimostrato, non a caso, proprio con il via libera alla riforma su Dop e Igp”.
Al convegno con Fini: Paolo De Castro (Parlamento Ue), Pierluigi Randi (climatologo), Mauro Rosati (Fondazione Qualivita), Enrico Manni (Consorzio Granterre) e Benedetto Fracchiolla (Finoliva Global Service).