VERONA – Un ‘gemello digitale’ della pianta per ridurre l’impiego di fitofarmaci, razionalizzare l’uso dell’acqua, limitare l’inquinamento in aria e nelle falde acquifere e implementare il processo di digitalizzazione fino al 90% nel vigneto: è il progetto “iVine – Digital twins“, presentato da Cia Agricoltori Italiani Toscana e Image Line, con la start-up AgroBit capofila del progetto e Università di Firenze e Cnr-Ibe partner scientifici.
Novità anche sul fronte della corretta gestione e utilizzo del digestato da biogas in agricoltura biologica, con le linee guida illustrate da Cib-Consorzio italiano biogas e FederBio, per migliorare l’apporto organico e sostituire i concimi di sintesi per migliorare la fertilità dei terreni.
Sono alcune delle innovazioni presentate alla 116ª Fieragricola di Verona (31 gennaio-3 febbraio): la manifestazione è capitale dell’agricoltura anche dal punto di vista scientifico e delle buone pratiche agricole, finalizzate al contrasto dei cambiamenti climatici e alla sostenibilità ambientale.
Se l’emergenza siccità non è affatto scongiurata per l’annata agraria 2024, come è emerso anche dal ciclo dei convegni «L’agricoltura nel clima che cambia», organizzati da Fieragricola, la ricerca non si ferma e Verona, per i quattro giorni di manifestazione, è stata centro del dibattito e “agorà” per la formazione del mondo agricolo.
A che punto è la ricerca
Presente a Verona, il professor Luigi Cattivelli, direttore del centro Genomica e Bioinformatica del Crea, traccia la rotta della ricerca. «Le piante di oggi o di ieri non possono essere il futuro, perché ogni pianta va adattata al clima del momento e al luogo in cui cresce – spiega il prof. Cattivelli, che è anche rappresentante italiano nel Research Committee di Wheat Initiative, agenzia internazionale per il coordinamento della ricerca sul frumento –. È necessario intervenire con un cambiamento, legato a una migliore efficienza nell’uso dell’acqua, alla capacità di tollerare le alte temperature delle ondate di caldo e alla resistenza alle malattie, perché il climate change implica la presenza di nuovi patogeni o la modifica di quelli già esistenti».
In queste condizioni, precisa Cattivelli, «la ricerca si sta muovendo su diversi livelli. Da un lato c’è un lavoro legato alla resistenza alle malattie, che utilizza sia le Tea, le Tecniche di evoluzione assistita, che i sistemi tradizionali. Relativamente all’aumento delle temperature e alla mancanza d’acqua, invece, l’approccio è molto più complicato, perché di tratta di due eventi complessi. C’è la grande difficoltà nel fare una scoperta break-through, cioè un cambiamento radicale della capacità della pianta di resistere alle malattie e tollerare le condizioni atmosferiche avverse. Oggi c’è moltissimo lavoro in corso, legato soprattutto alla comprensione dei meccanismi che controllano il flusso di acqua nella pianta, dalle radici fino alle foglie e poi agli stomi».
La scienza sta cercando di capire come la pianta traspira, cioè come fa evaporare l’acqua per poter prendere l’anidride carbonica. «Sono molti gli studi legati alla water use efficiency, all’efficienza dell’uso dell’acqua, per conoscere, cioè, quanta sostanza secca una pianta produce per litro d’acqua consumato. E in questo campo ci sono ampi margini di miglioramento».
Altra frontiera della ricerca è «creare delle piante con una maggiore efficienza nella fotosintesi – rende noto il professor Cattivelli –. La fotosintesi è un aspetto fondamentale della vita della pianta ed è uno dei più complicati da modificare, ma oggi ci sono conoscenze e capacità per poterla alterare in modo positivo e sono attivi almeno quattro progetti di ricerca finanziati dall’Unione europea. Soprattutto per alcune piante come i cereali a paglia come riso, frumento e orzo potrebbe essere possibile intervenire su alcuni meccanismi fotosintetici per rendere la pianta più produttiva, rendendola cioè in grado di generare più biomassa a parità di acqua e aggirando in modo indiretto il problema della resistenza idrica».
Focus zootecnia
A Fieragricola è stato presentato il progetto Life Carbon Farming per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici e favorire l’adattamento dell’agricoltura. “Le strategie fondamentali per l’allevamento – afferma Salvatore Claps, direttore del centro Crea Zootecnia e Acquacoltura – riguardano essenzialmente il benessere animale, la migliore e razionale gestione dei reflui zootecnici, lo stoccaggio del carbonio nel suolo e gli aspetti relativi all’economia circolare per la riduzione delle emissioni in zootecnia, soprattutto l’anidride carbonica. La genomica è, in particolare, uno degli aspetti sui quali puntare per la riduzione delle emissioni, eventualmente rivalutando alcune razze autoctone, che si sono dimostrate più resilienti ai cambiamenti climatici”.
Le foreste
Con 11 milioni di superficie forestale, pari al 37% del territorio nazionale, anche alberi, boschi e foreste sono uno dei principali sistemi naturali terrestri per l’assorbimento dell’anidride carbonica emessa in atmosfera. “Il Crea – puntualizza Piermaria Corona, direttore del centro di ricerca Foreste e Legno – è il responsabile del registro dei crediti di carbonio volontari che vengono assorbiti da parte delle proprietà agricole e forestali; in questo senso alcuni aspetti della coltura forestale possono dare un grande supporto alla questione ambientale e di resilienza di fronte ai cambiamenti climatici. Pensiamo ad esempio alla piantagione di pioppo su terreni precedentemente utilizzati per colture estensive di cereali, che possono in un arco di tempo abbastanza ridotto, incrementare il contenuto di carbonio sia nel soprasuolo che nel suolo”.
Il Crea, prosegue Corona, “sta lavorando anche all’Inventario forestale nazionale, che è portato avanti dall’Arma dei Carabinieri Forestali e che dal prossimo gennaio sarà rivoluzionato in tutta la sua modalità operativa”.