FIRENZE – Un finocchio partito dalla campagna toscana porta nelle tasche dell’agricoltore solo 35 centesimi, pari a meno del 20% di quanto il consumatore lo acquista confezionato negli scaffali della Gdo, ovvero 1,78 euro al kg. Il cavolfiore viene pagato 50 centesimi al kg e venduto a 1,48 euro/kg dalla Gdo (circa il 33%). Dati che riguardano l’intera produzione orticola: il valore della produzione è diminuito di 20-30 centesimi: il radicchio 15 centesimi, le cime di rapa non arrivano a 30 centesimi. Insomma, sul prezzo finale, il consumatore paga più per il confezionamento che per il prodotto agricolo.
Dal campo al prodotto che finisce in tavola c’è un abisso di prezzo – evidenzia la Cia Agricoltori Italiani della Toscana -. Ed anche se il consumatore finale è disposto ad acquistare il prodotto ad un prezzo maggiore, quella differenza che inizia con la coltivazione e finisce alla Grande distribuzione non va di certo in tasca all’agricoltore.
Fra i molteplici problemi che hanno portato alla crisi dell’agricoltura, che Cia Toscana ha evidenziato negli ultimi anni, scendendo in piazza a Venturina (Li) nella primavera 2022 e a Roma nell’ottobre 2023, oltre che attraverso iniziative pubbliche e i propri organi di informazione (come il mensile Dimensione Agricoltura), c’è senza dubbio la forbice dei prezzi.
“E’ urgente che la politica e le istituzioni, insieme agli agricoltori – sottolinea il presidente di Cia Toscana, Valentino Berni – trovino soluzioni per accrescere il peso economico e la forza negoziale del settore, incentivarne il ruolo e il presidio ambientale, mettere l’agricoltura al centro dei processi di sviluppo delle aree interne, salvaguardare i servizi e le attività sociali, cruciali per i territori rurali, e consolidare la crescita dell’export agroalimentare Made in Tuscany.
Bisogna dare più valore alle nostre produzioni toscane, a partire dalla Gdo. Non è possibile che un olio extravergine d’oliva toscano, dopo essere stato messo sullo scaffale a 8,30 euro al litro, passi al sottocosto a 5,30 euro. Così muore l’agricoltura toscana fatta di medio-piccole aziende agricole. Dal campo alla tavola, la differenza non va all’agricoltore, ma alla distribuzione, al trasporto, al confezionamento, al packaging, conservazione (frigoriferi) senza dimenticare la parte della logistica. E’ necessario alzare il ricavo di chi quel prodotto lo realizza, assicurando ogni giorno cibo sulle nostre tavole”.
La forbice dei prezzi
Basti pensare che con 100 kg di grano si producono 90 kg di farina, con i quali si fanno 108 kg di pane. Ecco quel pane costa al consumatore 380 euro, ma quel grano (che è stato utilizzato per la farina) è stato pagato al produttore solo 25 euro. E mentre un produttore prende 35 centesimi per un chilo di grano duro (pagato bene), un pacco di pasta costa 2,08 euro, con un aumento del 494% dal campo alla tavola. Stessa dinamica sul latte: all’allevatore vanno 52 centesimi al litro, ma il consumatore per comprarlo spende 1,80 euro (+246%). Vale anche su frutta e verdura: i pomodori passano da 1,13 euro al chilo all’origine a 3,73 euro al consumo (+230%); le mele da 50 centesimi a 2,43 euro al chilo (+386%); le pere da 1,64 a 3,55 euro al chilo (+116%); Il risultato è un calo del 60% del reddito netto delle imprese agricole, che fanno sempre più fatica a coprire i costi di produzione in continua ascesa (+16 mila euro nell’ultimo anno per azienda). Contemporaneamente sono venuti al pettine anche i nodi della PAC: sempre meno conveniente per l’azienda agricola toscana.
A questo si aggiungono gli aumenti dei costi di produzione, che hanno visto un’impennata a partire dal 2022 con l’inizio della guerra in Ucraina e che non sono tornati ai livelli precedenti.
Sono aumentati i costi per i fitofarmaci, fertilizzanti, gasolio e concimi. Se un sacco di biammonico costa al quintale nel 2021 70 euro, nel 2023 è costato 95 euro; erba medica da 3,40 euro a 5,20 euro; il ternario per il pomodoro da 44 euro nel 2021 a 63,50 euro nel 2024. Nel settore ovini, molto importante in Toscana, il mangime complementare pecore latte è passato a 31,50 euro nel 2021 a 37,40 nel 2024.
Conviene produrre?
Quanto costa produrre un ettaro di melone in Maremma? Costa 12.070 euro, ma con una resa di 240 quintale ad ettaro e un costo al quintale di 48 euro al quintale, l’azienda ricava 11.520 euro, ovvero produce con una perdita di 550 euro.
Il costo complessivo è dato da tutte le operazioni colturali: aratura 180 euro, erpicatura 75, semina/concimazione fondo 75, costo 10 ql/ternario/ha più piantine ibride per 2.240 euro; trapianto pacciamatura manichetta e baulatura 1.700 euro; fertirrigazione più irrigazione 950, trattamenti fungini e parassiti 600, raccolta 3.900 euro; fresature e zappatura 750, trasporto 1.600 euro.
E con gli attuali prezzi del grano duro, anche produrre grano rappresenta attualmente una coltivazione in perdita. In Val d’Orcia: con una resa di 35 quintali ad ettaro, per 26 euro a quintale, il produttore avrà un ricavo di 910 euro per un costo di produzione di 1.200 euro, con un reddito in perdita di 290 euro ad ettaro. Per andare in positivo sarebbe necessaria un valore del grano duro di almeno 35 euro al quintale. Lo stesso ettaro coltivato in Maremma (in pianura) con una resa di 45 euro ad ettaro, la perdita sarà di 30 euro. In questo caso i costi di produzione sono dati dall’aratura per 180 euro; erpicatura 75, semina/concimazione fondo 75; costo 2 ql./biammonico 112 euro; seme 2,5 ql/ha per 238 euro; diserbo più trattamento (compreso costo prodotto) 170 euro; concimazione di copertura con 2 ql. e urea più 1 ql nitra 170 euro; trebbiatura 130 euro; trasporto sema al centro raccolta 50 euro.
“Anche le proteste degli agricoltori, evidenziano dei problemi che per la Cia Toscana non sono una novità – sottolinea Berni -. L’agricoltura ha i suoi problemi importanti, e non sono problemi di certo nuovi. Le prima pagine di Dimensione Agricoltura (il mensile di Cia Toscana) degli ultimi anni parlano chiaro, basta andarli a rivedere sul nostro sito. E lo abbiamo detto in piazza più volte, che le cose per la nostra agricoltura non andavano nel verso giusto. La Cia Toscana c’è sempre stata, ed è sempre dalla parte dei propri associati, dalla parte di tutti gli agricoltori. Ma oltre alle proteste servono le proposte. Quelle proposte che la politica deve prendere in considerazione, a partire dai danni strutturali che da sempre abbiamo, dalla gestione dell’acqua alla fauna, fino ad arrivare alle drammaticità all’interno della filiera. Una filiera che, lo ripeto, ha bisogno di dare il giusto reddito agli agricoltori e non si può più permettere di disinteressarsi del reddito della produzione primaria. Abbiamo evidenziato, nero su bianco, alcune proposte serie e concrete che devono aiutare le piccole e medie imprese agricole, che sono l’ossatura fondamentale del nostro comparto agricolo.
Con la loro qualità, la loro capacità e resilienza e la capacità di stare in territori marginali ed aiutarci a mantenerli. Questo è l’obiettivo principale della Cia, questo è ciò che stiamo facendo e le proposte concretamente le portiamo su tutti i tavoli istituzionali. Ora attendiamo le risposte: Regione Toscana, Governo, Europa, se ci siete battete un colpo e non dare i contentini delle ultime settimane. Alla Regione chiediamo azioni dirette per l’agricoltura toscana e soprattutto una pressione più incisiva nei confronti del Governo, che fino ad oggi si è limitato a risposte insufficienti (esempio: esenzione irpef e solo proroga assicurazione trattori fermi), e verso l’Europa che ha soltanto derogato per appena una campagna agraria l’obbligo della tenuta a riposo del 4 per cento dei terreni coltivabili. Serve fare di più, molto di più, con estrema urgenza”.