ROMA – “L’agricoltura italiana e quella europea corrono un duplice rischio: venire strumentalizzate dal populismo e dal qualunquismo della destra che vi si avvicina ciclicamente e solo per un consenso elettorale o essere indicate come il fulcro di ogni male da parte del fanatismo ambientalista spesso collocato a sinistra”.
A sottolinearlo è Caterina Avanza, responsabile Agricoltura di Azione.
“A Bruxelles, in Parlamento, ho assistito alla proiezione del documentario “Food for profit” della giornalista Giulia Innocenzi. Non ho potuto fare a meno di notare un elenco di fatti e considerazioni non rispondente al vero: le nuove tecniche genomiche (le cosiddette TEA, le tecniche di evoluzione assistita) sono state concepite per diminuire pesticidi, uso dell’acqua e di fertilizzanti non per massimizzare i profitti ma per adattarsi al cambiamento climatico; l’allevamento non è la principale causa del cambiamento climatico, poiché l’agricoltura pesa l’11% della C02 e recenti studi (il più prossimo quello finalizzato dall’Università di Oxford) propongo nuove metriche che riducono questa percentuale. Ho visitato centinaia di allevamenti intensivi, e non ho visto quello che mostra la Innocenzi. Se si cercano dei criminali si trovano, così come la gente che passa con il rosso al semaforo, ma questo non vuol dire che tutti gli allevatori siano criminalità o torturatori di animali. Si ha l’impressione, dunque, che la sola soluzione suggerita sia quella di smettere di mangiare carne.
La realtà, lo dice la FAO, è che l’allevamento è fondamentale per lottare contro la fame e il consumo di carne aumenterà del 20% tra ora e il 2050. Quindi l’unica soluzione è la scienza, l’innovazione per una zootecnia ancora più sostenibile, non una farraginosa caccia alle streghe. L’agricoltura europea è l’unica al mondo che sta diminuendo le emissioni, è quella che ha gli standard ambientali e di benessere animale più alti. A forza di trattare gli agricoltori come dei criminali ci ritroveremo senza agricoltori, e saremo costretti ad importare alimenti prodotti con modalità meno sostenibili e non sovrane, sempre più dipendenti da paesi fuori dall’Ue, e quindi anche da autocrazie o dittatori come Putin”.