ROMA – Una protesta che si è allargata a macchia d’olio e che, partita dalla Germania per il prezzo del gasolio a uso agricolo, ha sfondato i confini di Francia, Italia e tutta l’Europa.
Quella degli agricoltori è una protesta sentita, rumorosa e diffusa, che coinvolge questioni di vecchia data e ne aggiunge di nuove. Compag, la federazione nazionale delle rivendite agrarie, comprende e condivide alcune delle ragioni della “protesta dei trattori” nel loro obiettivo di ottenere da Bruxelles una revisione profonda della Politica Agricola Comune (PAC), ritenuta troppo complessa e lontana dalle esigenze del mondo agricolo.
Senza agricoltori non c’è futuro per nessuno, tuttavia le imprese agricole sono in forte difficoltà. Come dichiarato da Fabio Manara, presidente Compag, “in questa campagna gli agricoltori hanno prodotto con costi raddoppiati e, in alcuni casi, triplicati rispetto al 2019, tuttavia si trovano a vendere il prodotto finale con prezzi ritornati ai livelli del 2019. Se a tutto questo si aggiunge la diminuzione dei premi della nuova PAC e la perdita di produzione che spesso si registra a causa dei cambiamenti climatici, è facile intuire che la situazione è tutt’altro che semplice”.
Per quanto riguarda la transizione ecologica, è un errore enorme equiparare l’agricoltura agli altri settori produttivi, poiché essa produce beni essenziali alla sopravvivenza umana e, anzi, avrebbe bisogno di una politica forte che la tutelasse e garantisse agli agricoltori la possibilità di continuare a produrre in condizioni dignitose. La nuova PAC è invece decisamente distante dall’obiettivo di favorire la continuazione dell’attività agricola. In alcuni casi, poi, la declinazione nazionale delle regole europee è ulteriormente penalizzante, come nel caso della procedura prevista per la richiesta di aiuto accoppiato per la colza e il girasole, con le aziende agricole che dovevano dimostrare di essere in possesso di un contratto di fornitura con le strutture di stoccaggio e/o l’industria. In questo caso il decisore nazionale ha spostato la responsabilità sopra all’industria e alle strutture intermedie, incaricate di caricare e validare sul SIAN i contratti con l’agricoltore, pena la non concessione dell’aiuto a quest’ultimo. Una procedura che non tutela l’agricoltore, dal momento che questo può percepire l’aiuto solo se un soggetto terzo interviene in maniera corretta. Inoltre, il portale del SIAN era carente di dati, anagrafiche e funzionalità al punto da costringere Compag a richiedere ad Agea una proroga, per consentire agli stoccatori associati di portare a termine l’adempimento richiesto sulle aziende agricole.
Inutili problematiche, inutili complessità a carico dell’intera filiera, dalle aziende agricole bisognose di supporto economico ai centri di stoccaggio caricati di un’ennesima mansione poi rivelatasi difficilmente attuabile. Una procedura che dovrà essere necessariamente modificata.
Il secondo aspetto contraddittorio rilevato da Compag riguarda l’equa distribuzione del valore lungo tutta la filiera. Con un settore agricolo in forte sofferenza, le rivendite agrarie e i centri di stoccaggio si trovano spesso a dover fare credito alle aziende agricole che, nella migliore delle ipotesi, sono in grado di chiudere le proprie scoperture finanziarie solo nel momento in cui vendono la loro produzione. Oltre al problema del dilazionamento dei tempi, si ha anche quello dei prezzi molto bassi che complica ulteriormente la capacità delle aziende agricole di vendere il proprio prodotto a un prezzo accettabile e di saldare le posizioni con le strutture che offrono servizi, come quelle associate a Compag. “Ora più che mai” continua Manara “è essenziale lavorare a un sistema che faciliti l’accesso al credito per le aziende agricole, per le quali spesso è difficile rientrare nei criteri di rating finanziario, finendo per essere ritenute inaffidabili”.
A gravare sulle imprese agricole italiane anche il differenziale di costo della materia prima importata, come sta avvenendo, ad esempio, per il grano duro che ha registrato negli ultimi mesi un notevole aumento delle importazioni (circa 3 milioni di tonnellate importate nel 2023). Tali discutibili politiche di import hanno comportato una significativa discesa delle quotazioni del prodotto italiano – in media -30% rispetto a inizio campagna di commercializzazione – e una mancata richiesta di prodotto da parte dell’industria di trasformazione, già soddisfatta dagli approvvigionamenti di prodotto estero. Il risultato? Prezzi del prodotto italiano non competitivi (e conseguente scarsa marginalità per gli agricoltori) e strutture di stoccaggio penalizzate da un mercato fermo, saturato dalle importazioni. Le importazioni, per quanto necessarie a soddisfare la richiesta dell’industria di trasformazione a fronte di una non autosufficienza nazionale, andrebbero gestite in maniera tale da non creare perturbazioni significative al mercato nazionale, soprattutto riguardo alle produzioni tipiche dell’agricoltura italiana.
Il mondo agricolo soffre e richiede urgenti attenzioni. Attenzioni che ben si distanziano dalla burocrazia e che pretendono conoscenza, competenza e visione. La Commissione Europea è chiamata in causa.