PIACENZA – Ancora lontano l’accordo quadro del pomodoro. L’industria sostanzialmente non si muove dalla proposta di prezzo base a 125 euro a tonnellata, questo è quanto riportato all’interno del tavolo agricolo riunitosi mercoledì 20 marzo a Parma.
Confagricoltura Piacenza, dai riscontri ricevuti, evidenzia che le Op si stanno muovendo relazionandosi con trasparenza e dunque con una programmazione monitorata. “Dai dati comunicati sulla programmazione, non è previsto alcun eccesso di offerta – commenta Casagrande, direttore dell’Associazione – stanti i rischi in campo, i costi della coltura e non ultimo le condizioni del mercato, che richiede il nostro eccellente prodotto, la trasformazione non ha motivo di proporre un prezzo di riferimento più basso rispetto a quello dello scorso anno”. L’offerta a 125 è quantomeno disincentivante e con una base di questo tipo sarebbe sconsigliabile coltivare.
“All’industria che propone un taglio lineare del 13% sul prezzo di riferimento – riflette Casagrande – potrebbe valer la pena rispondere con una proposta di taglio lineare del 13% delle superfici. 10 ettari – esemplifica Casagrande – generano una PLV di 100.000 euro (con una produzione stimata di 800 quintali ettaro), per ottenere la stessa PLV a 150 euro alla tonnellata bastano 8.3 ettari. In questo caso, tagliando la superficie, anche dopo aver acquistato le piantine, resterebbe la stessa PLV ma rimarrebbero 2.7 ettari da impiegare in altre colture, che andranno ad incrementare, poco o molto, la PLV di quei 10 ettari. I conti sono conti, invece di tagliare il prezzo, si tagliano le superfici il ricavo da parte agricola è identico, ma con una notevole riduzione dei rischi in campo, dei costi di lavorazione e con la disponibilità di terreni da dedicare ad altro”.
Di fronte a questa riflessione il pensiero va all’effetto ventosa che una carenza di prodotto eserciterebbe su altre zone meno vocate e organizzate nel tentativo di supplire con accordi che possano aggirare il coordinamento delle Op.
“Su questo aspetto – prosegue Casagrande chiediamo all’Oi la sua supervisione, anche perché è difficile improvvisarsi coltivatori di pomodoro rispettando i parametri di legge e i protocolli ulteriori che la nostra produzione certificata garantisce.
Crediamo inoltre che l’OI debba giocare, in questo momento di forte divergenza tra le parti, il ruolo che le è consentito dalle norme, senza tuttavia rinunciare ad essere parte attiva ai fini di un loro riavvicinamento. Ogni scenario diverso dal passato, come purtroppo si va profilando, che passa attraverso la rottura delle regole, degli schemi e delle procedure codificate, rischia infatti di mettere a repentaglio l’interprofessionale, con danni irreparabili per tutta la filiera”.
Anche in questo caso – aggiunge Casagrande – una considerazione economica andrebbe fatta, perché i nostri imprenditori affrontano campagne agrarie di una complessità tale (tra gestione di fitofarmaci, attacchi parassitari e bizze del tempo) che riescono a galleggiare sul punto di pareggio solo compensando con un know-how tale che rende il prodotto anche distintivo a livello globale. Il pomodoro da industria non è una coltura per chi si avventura, lasciarsi guidare dalle sirene dei contratti diretti con l’industria è un modo per arrivare a fine campagna senza essere riusciti a trattenere in tasca alcunché pur essendosi accollati i rischi e gli anticipi dei costi produttivi”.
“L’esperienza dello scorso anno ha dato un positivo riscontro al consiglio che vivamente facciamo ai produttori anche oggi – conclude Casagrande – gli agricoltori agiscano organizzati seguendo le indicazioni delle Op, che a loro volta tra loro devono collaborare anche perché le condizioni del mercato del trasformato consentono di sostenere quotazioni della materia prima in linea con la precedente annata. Ricordo che in economia è meglio orientarsi su un recupero di marginalità piuttosto che fare numeri senza margine”.