SIENA – Il tappo a vite, noto anche come Stelvin dal nome del suo più grande produttore, ha la sua storia: la sua comparsa nel mondo del vino va collocata nella seconda metà del Novecento, esattamente nel 1964 in Francia.
Con il passare del tempo e l’aumento della produzione e della vendita dei vini, il sughero ha cominciato a scarseggiare sostituito inizialmente dai tappi sintetici che in Australia e negli Usa ottennero un ragionevole successo. Il tappo a vite nell’immaginario collettivo del Vecchio Continente è sempre stato collegato a vini di bassa fascia e prima di sradicare questo tipo di pensiero ci sono voluti parecchi anni. Oggi invece molti produttori scelgono la chiusura a vite anche per bottiglie più pregiate. All’interno del tappo metallico c’è infatti un fondello di resina che contiene una piccolissima dose di gas inerme utile per conservare le proprietà sensoriali del vino. Il tappo a vite inoltre assicura un’ermeticità di assoluto livello.
Da qualche anno ecco affacciarsi nel mercato anche il tappo di vetro che rappresenta un’alternativa possibile, molto usata già per i superalcolici. Ha degli svantaggi invece sul vino: intanto perché servono tappatori dedicati e poi perché questa tipologia di tappo non è pensata per l’invecchiamento a lungo termine. Inoltre, la guarnizione può deteriorarsi nel tempo e far passare più aria, che è proprio quello che non vogliamo che succeda.