ROMA – Mentre lungo la Penisola le colonnine di mercurio, ma anche le colture e la salute umana, “impazziscono” per i repentini sbalzi di temperatura, correnti caldissime di origine sub-sahariane (da Sud Sudan, Ciad, Nigeria e Burkina Faso) sono annunciate sulle coste libiche, spingendo la temperatura dell’aria oltre i 40° in quello, che si preannuncia già, secondo i dati Copernicus elaborati dall’Osservatorio ANBI sulle Risorse Idriche, l’Aprile più caldo della storia a livello globale (nella prima quindicina del mese è stata +0,73°C sulla media 1991-2020).
Nel frattempo, anche in Italia è sopraggiunta una corrente glaciale, che ha interrotto un’estate anticipata (temperature intorno ai 30° da Nord a Sud), portando con sé venti forti e piogge. L’auspicio è che le precipitazioni siano generose con i territori assetati dell’Italia Centro Meridionale, senza essere causa di fenomeni estremi e conseguenti rischi idrogeologici, viste le temperature marine che lungo le coste tirreniche, ioniche ed alto adriatiche si aggirano sui 18° (fra i 3 ed i 4 gradi sopra la media).
“Anno dopo anno, la crisi climatica accentua le proprie conseguenze: allo stato attuale, se al Nord i cicli colturali sono a rischio per le gelate, al Sud dobbiamo sperare nella funzione mitigatrice del mar Mediterraneo per evitare che ulteriori ondate di calore aggravino situazioni di grave sofferenza idrica” commenta Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi di Gestione e Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI).
Finora la “Sicilia sitibonda” ha beneficiato di piogge abbondanti solo sui territori Nord-Orientali tra le province di Messina, Enna ed i comuni palermitani più ad Est, mentre sul resto dell’isola, soprattutto lungo la fascia costiera, sono state più scarse e sicuramente insufficienti a ripianare il grande deficit idrico.
Al Nord, il caldo intenso della settimana scorsa ha raggiunto anche le cime alpine più elevate, facendo salire le temperature medie sopra lo zero anche oltre i 2500 metri e provocando la fusione di parte del cospicuo manto nevoso, riducendone la riserva d’acqua e sovraccaricando i corpi idrici già saturi del bacino padano.
Così, in Valle d’Aosta la portata della Dora Baltea cresce di ben 6 volte in una settimana ed anche il torrente Lys registra un considerevole aumento del flusso (+312%) andando a toccare la ragguardevole portata di 17,70 metri cubi al secondo (mc/s).
Per le stesse ragioni, tutti i fiumi del Piemonte stanno offrendo performances straordinarie: il surplus idrico in alveo va dal +36% del Tanaro al +167% della Stura di Demonte.
In Lombardia il fiume Adda registra una portata di mc/s 344, cioè + 262% rispetto alla media degli scorsi 6 anni! Il totale di riserva idrica stoccata si attesta ora a 5116,8 milioni di metri cubi (+55% sulla media).
Tra i grandi bacini naturali del Nord Italia, il livello del lago d’Iseo (cm. 101,6) continua ad essere al massimo storico, nonostante grandi rilasci verso valle. Il Verbano, pur in calo, è oltre mezzo metro più alto rispetto al livello medio del periodo ed un metro sopra quello dello scorso anno. Decresce anche il Lario, ora al 60% di riempimento, mentre il Garda (pieno al 100%) è a livello di piccole esondazioni, registrando un ulteriore incremento di oltre 4 centimetri in una settimana.
In Veneto, se i fiumi Adige e Piave segnano ancora livelli in crescita (il primo ha addirittura raggiunto la portata di 414,37 metri cubi al secondo senza l’ausilio di ulteriori piogge), sono invece in calo quelli di Livenza, Bacchiglione, Brenta e Muson dei Sassi, pur rimanendo superiori alle medie di riferimento.
Il fiume Po continua a crescere nei rilevamenti piemontesi fino all’Alessandrino mentre, complice il caldo torrido, cala lungo le pianure emiliane e lombarde, pur mantenendo portate di gran lunga superiori alle medie mensili (Piacenza +81%, Pontelagoscuro +85%).
Se l’acqua, che scende dalle Alpi, ingrossa i fiumi a valle, nelle regioni appenniniche, dove la scarsa neve invernale è già sparita, l’innalzamento delle temperature provoca repentine riduzioni dei flussi idrici nei corsi d’acqua e cali dei livelli nei bacini lacustri.
In Liguria cala il livello dei fiumi Entella, Magra, Vara ed Argentina, con i primi due, che scendono sotto media.
Se in Emilia Romagna la contrazione nelle portate non risulta al momento preoccupante (i valori registrati dagli idrometri di Secchia, Enza e Panaro sono tuttora superiori alla media mensile, anche se il deficit idrico di Taro, Trebbia, Santerno e nei bacini romagnoli è notevole), in Toscana si intravede quanto effimeri possano essere i benefici fluviali di una stagione particolarmente piovosa (in particolare sulle province settentrionali, dove anche negli scorsi 30 giorni le cumulate di pioggia variano da mm. 150 ad oltre 300 millimetri), se non si riesce a trattenere l’acqua: così, in sole due settimane, la portata del fiume Arno (mc/s 44,90) è nuovamente discesa sotto le medie del periodo (era quasi mc/s 140 ad inizio mese) e quella dell’Ombrone è nettamente inferiore anche al recente, siccitosissimo biennio (fonte: SIR-Settore Idrologico Regionale).
“E’ al di sotto della linea appenninica che, quest’anno, si registreranno le maggiori difficoltà idriche. Le attuali infrastrutture idrauliche sono insufficienti a fronteggiare le conseguenze della crisi climatica e, come più volte segnalato, stiamo lasciando andare a mare un’irripetibile ricchezza per i territori. C’è urgente bisogno di scelte operative per dare concrete risposte alle esigenze del mondo agricolo” ribadisce Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI.
Anche nelle Marche i livelli dei fiumi continuano a calare: Esino e Potenza si distinguono negativamente nel confronto con il recente passato. Per fortuna i bacini (oltre 53 milioni di metri cubi d’acqua invasata) rappresentano una sicurezza per la tenuta della stagione irrigua.
In Umbria, ci si interroga sul futuro del più grande lago dell’Italia Centrale, perché il deficit idrico del Trasimeno, nonostante qualche rara ripresa, appare irreversibile: ora è nuovamente 27 centimetri sotto al livello minimo vitale (cm. 84 più basso del normale, cm. 20 meno dell’anno scorso). Nella regione, i fiumi Topino e Paglia restano sotto media.
Così come per il lago umbro, nel Lazio le preoccupazioni maggiori sono rivolte al bacino vulcanico di Albano ed a quello limitrofo di Nemi, entrambi privi di immissari e che si alimentano con apporti da sorgenti sotterranee (compromesse dall’antropizzazione del territorio dei Castelli Romani) e, in minima parte, dagli apporti pluviali (finora, da inizio anno, sono caduti su quelle zone circa 230 millimetri d’acqua). Se l’invaso più piccolo, Nemi, in una settimana ha perso solamente 1 centimetro di altezza idrometrica (si è abbassato, però, di cm. 32 dallo scorso anno), quello di Albano è sceso di 11 centimetri dopo che c’erano voluti 2 mesi per recuperarne 5! Sorprende la scarsità di portata del fiume Tevere a Roma (mc/s 98, meno della metà della media mensile), così come deficitarie sono anche le portate di Aniene e Velino (rispettivamente al 47% ed al 60% rispetto ai valori normali di questo periodo), mentre la Fiora, in Tuscia, mantiene flussi abbondanti, seppur in calo (+83%).
A certificare la crisi idrica, che sta colpendo l’Abruzzo sono, oltre ai dati pluviometrici, anche i livelli dei fiumi: l’Orta, in provincia di Pescara, registra il modesto valore di cm. 59, cioè 70 centimetri in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno; il Sangro invece registra -cm 16 .
In Molise il livello della diga del Liscione si è alzato in un mese di m.1,64, raggiungendo quota m. 120,20 sul livello del mare, cioè +m. 2,32 rispetto a Marzo 2023 (fonte: Molise Acque).
Le note più dolenti arrivano dal Sud Italia: in Basilicata, così come in Puglia, l’anticipo d’estate ha fatto diminuire le già scarse riserve idriche, stoccate negli invasi.
I bacini lucani perdono 1 milione e mezzo di metri cubi d’acqua in una settimana, ampliando il divario con i volumi stoccati negli scorsi 3 anni quando, in questo periodo, i bacini contenevano oltre 450 milioni, mentre ora trattengono solamente 337,39.
Analogo discorso in Puglia, dove i bacini perdono oltre 1 milione di metri cubi, vedendo ampliarsi di oltre 12 milioni, il deficit sul 2023 e che ora segna – mln. mc.110,56.
Nelle due regioni, si è quasi ai livelli nel 2020, “annus horribilis” per l’agricoltura meridionale, in cui si dovette fare i conti con un’estrema scarsità d’acqua (in Puglia rispetto a quell’anno ci sono circa 28 milioni di metri cubi d’acqua in più, mentre in Basilicata solo 5 milioni).
In Calabria, infine, solamente il fiume Coscile mantiene portate abbondanti (mc/s 42,88), mentre Lao ed Ancinale registrano flussi sensibilmente inferiori alla media storica (rispettivamente -63% e -95%).