ROMA – Migliaia di agricoltori in piazza da Nord a Sud dell’Italia contro l’invasione di 2,3 milioni di cinghiali, liberi di devastare i campi e minacciare la vita degli automobilisti a causa dei ritardi nell’attuazione dei piani regionali di contenimento.
E’ quanto afferma la Coldiretti in occasione del via alle mobilitazioni su tutto il territorio nazionale, partite oggi dalla Lombardia e dalla Calabria e che in poche settimane toccheranno tutte le regioni d’Italia. A Milano e Cosenza gli agricoltori hanno manifestato sotto le sedi delle Regioni con cartelli, trattori e striscioni per chiedere un intervento immediato necessario a contenere la popolazione dei cinghiali, ormai fuori controllo.
L’obiettivo delle mobilitazioni è far applicare subito a livello regionale le misure previste dal decreto interministeriale varato lo scorso anno per l’adozione di un Piano straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica incontrollata. Nei piani delle Regioni dovrà essere previsto il coinvolgimento attivo dei proprietari e conduttori dei fondi muniti di licenza per l’esercizio venatorio e la costituzione di un corpo di Guardie volontarie, a livello provinciale, per colmare il deficit di organico della polizia locale con la possibilità di agire anche nelle aree protette.
A Milano il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana e l’assessore regionale all’agricoltura Alessandro Beduschi e a Cosenza l’assessore all’agricoltura della Regione Calabria Gianluca Gallo hanno incontrato gli agricoltori in presidio assicurando di prendere immediatamente in carico il problema e dare risposte attese. La mobilitazione si estenderà ora alla Sardegna e all’Abruzzo per poi arrivare in Puglia, nella Marche e via via in tutte le altre regioni.
I danni. I cinghiali causano ogni anno danni per circa 200 milioni alle produzioni agricole ma rappresentano una minaccia anche per la vita dei cittadini con un 2023 che ha registrato 170 incidenti stradali con morti e feriti, secondo l’analisi Coldiretti su dati Asaps, in aumento dell’8% rispetto all’anno precedente.
La mappa dei cinghiali per regione. La Calabria è invasa da 300mila cinghiali, ma probabilmente molti di più perché non è facile avere i dati precisi, che oltre a devastare le colture e causare incidenti stradali, sono un veicolo di diffusione della peste suina e della tubercolosi bovina. Una proliferazione incontrollata facilitata dalla presenza dei tre grandi Parchi nazionali della Sila, del Pollino e dell’Aspromonte.
In Lombardia si stimano circa 70mila cinghiali che, se da una parte devastano prati, pascoli, fieno, mais, patate, piccoli frutti, riso, vigne e uliveti, dall’altra mettono a rischio gli allevamenti di maiali in quanto portatori di peste suina africana. Anche qui c’è preoccupazione da parte dei cittadini per la presenza sulle strade.
In Puglia sono enormi i danni causati dalla fauna selvatica incontrollata, con i 250mila cinghiali che distruggono le coltivazioni e attaccano uomini e animali allevati così come nel Lazio dove la situazione è fuori controllo e insostenibile sia per i cittadini, è di pochi giorni fa l’ennesima morte sulle strade causata dall’attraversamento di un cinghiale, che per gli agricoltori, che si sono visti devastare le produzioni a causa della presenza di 250mila capi. In alcuni casi i danni riguardano anche più dell’80% del raccolto.
Un’altra delle regioni più colpite è la Toscana dove scorrazzano circa 200mila cinghiali. Ai primi posti tra le coltivazioni preferite e quindi più danneggiate c’è l’uva, poi i campi di mais e cereali, il favino e le erbe mediche utilizzate per l’allevamento del bestiame. Ma vanno pazzi anche per lenticchie e legumi, farro ed orzo, castagne e ortaggi a pieno campo per finire con le piante del bosco e le coltivazioni di girasole.
In Piemonte le colture più danneggiate a causa dei 110mila capi presenti risultano seminativi, coltivazioni permanenti, prati e pascoli, con danni per circa 5 milioni di euro.
In Liguria le aree più colpite dai 55mila cinghiali stimati sono quelle montane e dell’entroterra, anche se gli animali hanno ormai da mesi raggiunto pure le coste. Le incursioni riguardano principalmente le aziende orticole con danni a coltivazioni e ai tipici muretti a secco.
In Umbria con una popolazione stimata di circa 150mila cinghiali, la situazione è drammatica sul fronte seminativi (specie per mais e girasole), ma anche su oliveti e vigneti (dove sono consistenti anche i danni da capriolo). Danni per milioni anche in Veneto dove i 110mila animali devastano campi e vigneti.
Nelle Marche tra risarcimenti alle aziende agricole e da incidenti stradali la Regione spende circa 2 milioni di euro all’anno con 40mila cinghiali stimati sul territorio. Secondo una stima approssimativa anche in Molise vi sono oltre 40.000 cinghiali, numero ben lontano dai due capi per chilometro quadrato indicati per il mantenimento dell’equilibrio dell’ecosistema, mentre in Campania sono arrivati a quasi 60mila.
In Basilicata si contano 110mila cinghiali con le colture maggiormente danneggiate che sono i cereali, piante a frutto vigneti, ortaggi, foraggio, leguminose. Le aree in cui i danni si sono verificati con più frequenza e in quantità maggiore, sono quelle in prossimità dei Parchi.
Situazione critica pure in Sardegna, soprattutto a ridosso delle aree protette, a causa dei 100mila cinghiali presenti. In Abruzzo superano ampiamente le 100mila unità e pesante è la situazione anche in Emilia Romagna dove si stimano almeno 80mila esemplari. Oltre alla devastazione delle colture si teme per la diffusione della peste suina che minaccia gli allevamenti di maiali.
Anche in Sicilia non c’è una zona, soprattutto quelle montane, dove i circa 110mila cinghiali presenti non distruggano le coltivazioni. Crescono a dismisura i costi della difesa con recinti elettrici, con vere e proprie “guardiane” che mirano a salvaguardare soprattutto le piccole piante.
Ma i cinghiali sono presenti in Friuli Venezia Giulia, dove si stima la presenza di circa 20mila esemplari, e hanno iniziato a far danni anche in Trentino Alto Adige soprattutto in alcune aree come l’alta Valsugana dove se ne stimano un migliaio, e altrettanti ce ne sono in Valle d’Aosta, dove hanno da tempo colonizzato anche le aree che non gli sono proprie, quali i terreni agrari e coltivati, fino a quote che superano i 2000 metri.