BRA (CN) – «La produzione di quest’anno? Saremo al 50% rispetto al solito, ma la verità è che di conti non se ne fanno. In questa situazione, non stiamo più facendo impresa: quello che ci interessa è mantenere in vita il patrimonio zootecnico, frutto dei sacrifici di generazioni di pastori prima di noi».
Luca Cammarata, nell’azienda di San Cataldo (Caltanissetta), alleva capre di razza Girgentana: taglia media, pelo lungo, folto e bianco, e lunghissime corna a spirale la rendono inconfondibile. La razza Girgentana è tutelata da un Presidio Slow Food nato quando gli esemplari sopravvissuti erano qualche centinaio appena: oggi Cammarata ne possiede trecento, all’incirca. Molte sono gravide. Tutte soffrono per le temperature, che da settimane superano frequentemente i 40 gradi, per la scarsità d’acqua, per mesi interi di siccità che hanno prosciugato il laghetto dove gli animali si abbeveravano e che hanno trasformato un’oasi di biodiversità in una specie di deserto. «È un’estate di tormento – racconta Cammarata –, è da maggio che va così».
Una trentina di chilometri più a ovest vive Liborio Mangiapane: ha sessant’anni e ha trascorso due terzi della sua vita nell’azienda dove alleva centocinquanta pecore e un centinaio di esemplari di bovini di razza Modicana, anch’essa tutelata da un Presidio Slow Food. «La situazione è tragicamente difficile – spiega – perché non si tratta di una settimana o di quindici giorni, ma di una condizione prolungata nel tempo, che provoca moltissime difficoltà dal punto vista alimentare, idrico e anche psicologico. Viviamo in un deserto, continuamente con il pensiero che l’indomani mattina gli animali saranno senza acqua». Doversi occupare dell’approvvigionamento ha richiesto una faticosa riorganizzazione: «In azienda abbiamo bisogno di più di diecimila litri d’acqua al giorno – prosegue Mangiapane –. Ci sono le autobotti del consorzio di bonifica che stanno tamponando la situazione, ma quotidianamente noi stessi andiamo con un’autobotte a caricare l’acqua».
Per resistere, ognuno si attrezza come può: Cammarata sta costruendo in azienda un bacino artificiale per raccogliere l’acqua piovana. Un progetto da duecentomila euro, finanziato in buona parte dalla Regione: «Avrà una capienza da 16mila metri cubi. Però deve piovere». A chi governa, rivolge un appello: «Costruite laghi, fate la manutenzione delle infrastrutture esistenti, aumentate la capacità di invasamento facendo pulizia dei bacini, e curate anche i sistemi di pompaggio». E poi ancora: «Bisogna capire come si può rinverdire zone oggi aride, magari piantumando arbusti in grado di crescere in ambiente siccitoso e che gli animali possano brucare. Servono piante in grado di vivere in suoli nei quali la concentrazione di cloruri, sempre a causa della carenza di piogge, è più elevata».
Pioverà, forse, ma il futuro resta un’incognita: perché la siccità è oramai un dato di fatto, colpisce tutto l’anno, e in queste condizioni è difficile anche ottenere il foraggio. «Come si fa ad affrontare una nuova campagna di semina? – si chiede Mangiapane – Negli ultimi anni abbiamo seminato a prezzo altissimo e raccolto zero: come possiamo investire altri capitali? Moltissimi di noi chiuderanno. E la cosa che più mi fa rabbia è che chiudere un’azienda causa l’abbandono dei territori, significa creare più problemi all’economia siciliana, che è già fragile di suo, e significa perdere un patrimonio zootecnico di estrema rilevanza. Tutto questo è gravissimo, come si fa a non capirlo?»