VERONA – L’estate calda e senza piogge in Veneto consente buone performance al pomodoro da industria, che recupera il gap primaverile e riduce le perdite. Le piogge intense di aprile e maggio avevano causato, infatti, problemi di asfissia e fitopatie, mentre i mesi successivi, molto asciutti, hanno favorito una buona maturazione del prodotto.
“In generale registriamo un calo di produzione del 10 per cento – sottolinea l’agricoltore Camillo Brena, presidente della sezione Pomodoro da industria e orticole di Confagricoltura Veneto, titolare di un’azienda a Taglio di Po -, dovuto a problemi causati soprattutto dalle bombe d’acqua primaverili, che hanno riguardato in particolar modo il Basso Veronese. Lì, a macchia di leopardo, i pomodori precoci sono andati in asfissia e non sono più riusciti a riprendersi, anche a causa degli attacchi di peronospora, che erano stati assenti nel 2023. Meglio è andata in Polesine, dove nella parte di territorio a Sud è piovuto con minore intensità.
In giugno tanti hanno ripiantato e il pomodoro, grazie al meteo favorevole, è maturato bene, nonostante qualche attacco di alternaria, dal quale però ci siamo difesi senza patemi d’animo. In linea di massima la qualità è buona e al momento la stagione è soddisfacente. Ci auguriamo che si continui a raccogliere fino a fine settembre, dato che il caldo si protrae sempre più a lungo”.
In Veneto la regina del pomodoro da industria è la provincia di Verona, che nel 2023 ha confermato una netta leadership con 1.130 ettari, seguita da Rovigo (465 ettari) e Venezia (145 ettari). In Veneto sono 1.810 gli ettari coltivati, che conferma il trend di crescita delle annate precedenti. La bacca rossa invoglia alla coltivazione in quanto la resa è molto buona: un ettaro produce circa 800 quintali di pomodori. La maggior parte dei produttori veneti è associata alle Op, organizzazioni di produttori e alle cooperative, sia venete che dell’Emilia Romagna, che è la prima regione in Italia per la produzione del pomodoro da industria.
Unico neo di quest’anno il mancato accordo con l’industria sul prezzo. La prima offerta calata in primavera sul tavolo con i produttori del Nord Italia era stata di 125 euro alla tonnellata, una cifra di ben 25 euro in meno rispetto all’annata 2023. Ma una mediazione poi non è stata trovata. “Il contratto non è mai stato firmato – puntualizza Brena -. Non è mai successo, nelle annate precedenti, ed è una situazione che non ci piace, perché si naviga a vista. Il prezzo, infatti, varia a seconda dell’acquirente, delle partite di merce o del mercato. Se i quantitativi sono minori oppure se l’industria ha bisogno di prodotto, il prezzo sale. Il massimo che hanno pagato, ad alcuni produttori, è stato 135 euro alla tonnellata. Ma per quanto riguarda il futuro viviamo nella più grande incertezza”.