Allevamento di qualità. Ecco come la genetica migliora la produzione casearia e la resa del latte

DESENZANO DEL GARDA (BS) – Migliorare l’efficienza dell’allevamento puntando sulla selezione e sul benessere degli animali. Attraverso la genetica, in grado di migliorare l’attitudine casearia e la resa del latte.

Aziende che vanno verso un modello zootecnico che parte dal ciclo chiuso con l’autoproduzione di materie alimentari per i capi allevati e una predisposizione per il miglioramento genetico.

La genetica è ormai un fiore all’occhiello per tanti allevamenti ed un obiettivo per altri.

In provincia di Piacenza, area di produzione del Grana Padano DOP, troviamo un allevamento con oltre seicento bovine da latte di razza Frisona, sia pezzate nere e rosse. Il 50% di queste ultime nasce naturalmente senza corna e permette una gestione molto più semplice degli animali partendo dalla permanenza in vitellaia. In questo caso, l’azienda ha puntato sui caratteri secondari, perché di recente la genetica ha fatto importanti passi avanti e, oltre ai caratteri tradizionali produttivi, come il grasso e le proteine, l’azienda agricola si è focalizzata sulla qualità delle caseine e sui caratteri gestionali.

L’allevamento utilizza in questo senso riproduttori portatori della variante BB della K-caseina, che si traduce in un maggiore contenuto di caseina nel latte, in una più rapida velocità di coagulazione e di rassodamento della cagliata, con una migliore consistenza del coagulo. Aumentare il contenuto di K-caseina B migliora, pertanto, l’attitudine casearia del latte. Gli altri tratti genetici secondari presi in considerazione nella genetica dell’allevamento sono anche quelli gestionali, come la facilità di parto, la resistenza alle mastiti, la salute della mammella e la mungibilità. Il tutto si traduce in un minor utilizzo di farmaci con un ulteriore miglioramento del benessere animale.

Così, come evidenziato dall’allevatore, il latte è prodotto con l’obiettivo di raggiungere un ottimale rapporto tra le proteine e la componente lipidica, per garantire, durante la lavorazione del latte, un rapporto grasso-caseina che consenta di produrre un formaggio semigrasso, nel pieno rispetto del Disciplinare di produzione del Grana Padano e delle caratteristiche qualitative tipiche che distinguono questo formaggio DOP.

Insomma, il benessere animale come prerogativa della qualità. Per il miglioramento genetico è fondamentale la qualità di vita degli animali, ed è su questo aspetto che molte aziende zootecniche stanno investendo.

L’intera stalla è organizzata ed ottimizzata per ottenere i risultati migliori nel rispetto delle vacche. Una stalla con sei file di cuccette, tre file doppie testa a testa, con mangiatoie esterne e un box preparto su lettiera. Nella parte finale della stalla, che ospita le vacche in lattazione, è presente un box dedicato alle manze gravide e uno per il postparto. La stalla dispone anche di un altro box dove vengono messe le vacche in calore, quattro alla volta, in modo che non disturbino le altre. Terminato il calore vengono spostate insieme alle altre nel gruppo lattazione.

Nell’azienda il fabbisogno nutrizionale della dieta delle bovine è per la maggior parte soddisfatto tramite l’autoproduzione di alimenti ad uso zootecnico. Dal mais, sia ceroso che per pastone integrale, ai cereali a paglia ed erbai (frumento, loietto, leguminose e miscugli di graminacee). In azienda si produce anche erba medica essiccata, che fornisce oltre il 50% delle proteine presenti nelle razioni.

Molte aziende, per adeguarsi alla normativa di gestione dei reflui, hanno investito nella copertura della vasca di stoccaggio degli effluenti zootecnici e nell’autobotte, spesso con gli iniettori per distribuire il liquame nel terreno. Alcuni allevamenti si dotano anche di sistemi di rilevamento dei parametri degli animali gestiti da software, per garantire il controllo della mandria anche da remoto.

Oltre alla ricerca ed innovazione genetica, il benessere animale ed ambientale, passa dalle energie alternative. Dove il ciclo si chiude con l’impianto a biogas, alimentato (anche all’80%) dalle deiezioni aziendali e per la restante quota da una piccola integrazione composta dagli scarti delle trincee d’insilamento. Così l’azienda zootecnica può essere autosufficiente per la quota di azoto, che viene destinata come fertilizzante alle colture a campo (dagli erbai misti di graminacee e leguminose, erba medica e cereali a paglia, ed il mais).

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