ROMA – Dalle luci e ombre del DL Agricoltura, fino al recente report della Commissione Europea sul futuro dell’agricoltura. Le impressioni del presidente della Cia – Agricoltori Italiani, Cristiano Fini, sono positive, ma serve una attenzione sempre maggiore da parte delle istituzioni nei confronti del settore primario.
Presidente Fini, partiamo proprio dalle parole di Ursula von der Leyen. Cosa ha da dire a riguardo?
“Sicuramente è positivo il fatto che per il report, forse per la prima volta, la Commissione sia ricorsa a soggetti interessati per cercare di tracciare una strada più “realistica” rispetto alle esigenze degli agricoltori che, da parte dell’Europa sono quelle di riconoscere il ruolo cruciale degli agricoltori per la sostenibilità, creando un fondo specifico per l’agri-transizione, oltre a intervenire sul tema del giusto prezzo ai produttori, del ricambio generazionale e delle azioni mirate alla gestione del rischio. Nel nuovo mandato, non si dovrà più correre il rischio di definire norme poco realistiche e non applicabili che mettano a rischio le aziende agricole. Reddito, competitività e sostenibilità dovranno essere le tre parole chiave nei futuri dibattiti europei con le istituzioni, chiamate a definire le politiche dei prossimi anni.
Quindi l’Europa amica o nemica dell’agricoltura italiana?
La nostra agricoltura ha bisogno di strategie più flessibili e di una burocrazia davvero più snella. La sfida che attende il comparto è la costruzione di una nuova via per la sostenibilità, non ideologica né penalizzante con direttive eccessivamente vincolanti per il settore come quelle volute dal Green Deal. Occorre un approccio diverso, una politica a favore degli agricoltori e non contro. Per questo chiediamo da tempo una transizione verde graduale e un’attenzione puntuale alle emergenze che investono l’agricoltura a livello globale, riconoscendo nei fatti la centralità del settore nella lotta ai cambiamenti climatici e nella competitività del Made in Italy.
A livello italiano cosa si può dire dello stato di salute dell’agricoltura?
Da circa tre anni non viene riconosciuto il valore dei prodotti ai nostri agricoltori, tuttavia si può dire che mantiene una propensione agli investimenti maggiore che negli altri settori produttivi e l’agroalimentare continua a confermarsi elemento trainante dell’economia italiana. Dipendiamo ancora troppo dall’estero per i prodotti energetici, materie prime e beni intermedi e questo incide sui costi di produzione. Lo strumento strategico per far sviluppare la nostra agricoltura potrebbe essere il rafforzamento dell’associazionismo produttivo con cui poter restaurare una simmetria nell’organizzazione della transazione, tra una molteplicità di produttori dispersi e una distribuzione fortemente concentrata.
L’attuale Governo ha dato vita di recente a un Decreto specifico sull’agricoltura, come lo avete accolto?
Il Dl Agricoltura è stato un segnale di grande attenzione del Governo al settore agricolo, con risposte a quasi tutte le emergenze sollevate dalla nostra Confederazione: dalla moratoria sui mutui agli aiuti alle filiere in sofferenza, fino al rafforzamento delle misure contro le pratiche sleali. Dispiace che non sia stato affrontato il tema dell’obbligo assicurativo che anche in questi giorni fa molto discutere, è un problema che allontanerà molti piccoli “sostenitori” del paesaggio rurale, soprattutto nelle aree svantaggiate.
Molto spesso parla del problema del ricambio generazionale in agricoltura. A che punto siamo?
Il ricambio generazionale è un tema a noi molto caro e per questo abbiamo appoggiato la legge Carloni per sostenere i giovani che vogliono creare imprese agricole. Occorre accelerare sulle sfide da cogliere, come l’opportunità di salvare le aree interne puntando sulle peculiarità territoriali del settore agricolo. I giovani rappresentano la strada da percorrere per innovare, garantire sicurezza ai territori, rafforzare le comunità.