di Davide Longhitano (CREA-PB)
ROMA – Il mercato degli affitti ha mostrato una generale stabilità nel 2023, con variazioni regionali influenzate da fattori economici, climatici e geopolitici.
In particolare, la crisi post-pandemia accentuata dal conflitto in Ucraina ha comportato un aumento dei costi energetici e dei prezzi agricoli, oltre a introdurre nuove incertezze che rendono più rischiose le scelte produttive da parte degli imprenditori. Questo nel complesso ha quindi stimolato un maggiore ricorso a questo istituto. L’interesse per l’agrivoltaico è ancora limitato, sebbene alcuni aumenti dei canoni siano stati osservati dove c’è la possibilità di installare impianti di nuova generazione. L’inflazione non sembra aver influenzato significativamente le trattative, sebbene non siano rare la presenza di clausole che prevedono l’adeguamento dei canoni agli indici ISTAT.
I dati del 7° Censimento generale dell’agricoltura dell’ISTAT confermano come lo strumento
dell’affitto sia la strada preferenziale degli imprenditori per ampliare le proprie superfici
aziendali. Nel 2020 la superficie in affitto, comprensiva degli usi gratuiti, ammonta a circa 6,2 milioni di ettari, incidendo sulla metà della SAU nazionale e mostrando un incremento del +27% nell’ultimo decennio (Figura 1).
Considerando un orizzonte temporale più ampio, la superficie in affitto è praticamente più che raddoppiata negli ultimi trent’anni, avvalorando l’importanza di questo istituto nell’attuale configurazione della struttura fondiaria nazionale. A rafforzare questa tesi concorre anche il progressivo aumento delle dimensioni medie aziendali che attualmente supera gli 11 ha. In estrema sintesi le aziende hanno subito un’espansione dimensionale accorpandosi e ricorrendo all’affitto, incrementando così le loro dimensioni medie. La contrazione di aziende ha infatti riguardato prevalentemente quelle con soli terreni in proprietà, mentre sono aumentate le aziende con sola superficie in affitto. Questo lo si nota nei cluster di aziende di maggiori dimensioni. Nel caso, infatti, di aziende con più di 20 ha oltre la metà della superficie è in affitto e/o comodato d’uso gratuito, mentre meno di un quarto della superficie risulta in affitto per le piccole aziende (Tabella 1).
Nel corso del 2023 nelle regioni settentrionali la domanda di terreni per l’affitto ha prevalso
sull’offerta, portando a un aumento dei contratti e delle superfici affittate, soprattutto nelle aree agricole destinate a colture di pregio.
I canoni si sono mantenuti perlopiù stabili, con alcune eccezioni dovute all’aumento della domanda nel caso di giovani agricoltori al primo insediamento e a causa della siccità, che ha fatto registrare una richiesta superiore di superficie agricola proprio per compensare le minori produzioni. Nelle regioni centrali la crisi economica, aggravata dagli eventi globali come la pandemia e la guerra in Ucraina, ha spinto molte piccole aziende a cessare l’attività o a cercare terreni in affitto, vista la difficoltà di acquistare terreni a prezzi elevati. I canoni anche in questo caso sono rimasti perlopiù stabili, consolidando la tendenza a stipulare contratti di affitto brevi, in attesa della piena entrata a regime della nuova
PAC. Anche nel Mezzogiorno il volume degli affitti è rimasto stabile, con una offerta
tendenzialmente superiore alla domanda, soprattutto nelle aree interne meno produttive, mentre i canoni non hanno subito grandi variazioni.
Le prospettive future rimangono incerte a causa soprattutto dei fattori geopolitici,
dell’andamento dell’inflazione e di riflesso all’aumento dei costi energetici. Anche i
cambiamenti climatici preoccupano, e si teme un aumento dei canoni d’affitto soprattutto per i seminativi non irrigui, che potrebbero che potrebbero diventare una valida alternativa per colture meno dipendenti dalla disponibilità di acqua.
Tuttavia, gli operatori prevedono una continua vivacità del mercato soprattutto per l’ampliamento aziendale o per la nascita di nuove aziende, grazie anche ai finanziamenti previsti per i giovani imprenditori. La continua fuoriuscita dal settore degli agricoltori più anziani e il lento turnover di quelli più giovani comporta che i terreni entreranno prima nel mercato degli affitti e poi in quello delle vendite, lasciando supporre un incremento dell’offerta.