SIRACUSA – Trovare nuove terre coltivabili e difendere quelle che esistono. Sono le due nuove sfide che il mondo si trova davanti entro il 2050, anno in cui – secondo le stime FAO – la popolazione mondiale arriverà a 10 miliardi e serviranno ulteriori 590 milioni di ettari di terreni coltivabili per produrre il cibo necessario.
Di questo e della necessità di ricavare nuovi terreni coltivabili nei più diversi contesti si è parlato nel corso del convegno “Territori sconfinati, piccoli poderi e orti urbani: tutte le tecnologie per ‘macro’ e ‘micro’ agricolture” organizzato da FederUnacoma nell’ambito delle iniziative di Divinazione Expo 2024 in occasione del G7 Agricoltura in corso a Siracusa.
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Tra gli interventi quelli di Stefano Francia Presidente CIA Emilia Romagna e componente Comitato Esecutivo CIA, che ha parlato di “Terre marginali e agricoltura eroica: le nuove sfide del settore primario”, Davide Gnesini, Responsabile Ufficio Tecnico FederUnacoma che ha affrontato il tema delle “Tecnologie d’avanguardia per le agricolture di frontiera” e Emilia Arrabito, Direttore SVI.MED – Centro EuroMediterraneo per lo Sviluppo Sostenibile ETS che ha spiegato le “Strutture e tecniche per la nuova agricoltura: le coltivazioni aeroponiche”.
Sempre secondo la FAO le terre potenzialmente arabili sono 4,4 miliardi di ettari ma oggi solo 1,6 miliardi sono coltivabili perché tutte le altre per caratteristiche tecniche, climatiche e di accessibilità sono difficili da rendere coltivabili.
Il 33% della superficie coltivata mondiale – è stato spiegato all’apertura dei lavori – è in condizioni di degrado moderato (8%) o elevato (25%) a causa della salinizzazione dei suoli, della perdita di sostanza organica, della desertificazione. Per fermare e invertire questo processo non ci si può affidare unicamente all’iniziativa degli imprenditori agricoli, ma è essenziale che i decisori pubblici sviluppino con urgenza adeguate politiche di sostegno. «Il problema interessa anche l’Italia. Il recupero delle terre degradate – ha detto il presidente CIA dell’Emilia Romagna Stefano Francia – è fondamentale non soltanto a fini agricoli, ma anche per garantire la sicurezza idrogeologica dei nostri territori e per incentivare il turismo nelle aree rurali, che rappresenta una ulteriore, importante fonte di reddito per gli agricoltori». D’altro canto, è proprio la remuneratività delle attività agricola, condizionata da un gran numero di variabili, che finisce per disincentivare gli investimenti, anchenelle aree marginali. «Per questo è necessario prevedere strumenti di incentivazione pubblica che– ha aggiunto Francia – sostengano l’agricoltura nelle aree a rischio, territori nei quali sono richiesti macchinari specifici, altamente specializzati».
Dalle attrezzature per la minima lavorazione che preservano la sostanza organica dei terreni, alle mietitrebbiatrici autolivellanti capaci di lavorare su pendenze molto pronunciate, sino alle flotte di droni in grado di operare su terrazzamenti altrimenti inaccessibili, le industrie agromeccaniche italiane vantano una gamma di tecnologie estremamente diversificata, che si adatta anche alle esigenze di un’agricoltura “estrema”. «Progettare e realizzare mezzi meccanici che possano operare in condizioni così impegnative – ha spiegato il Responsabile Ufficio Tecnico FederUnacoma Davide Gensini – è una grande sfida costruttiva chele nostre industrie stanno vincendo grazie alla loro capacità di innovare e sviluppare soluzioni all’avanguardia, personalizzandole secondo le specifiche esigenze dei territori». «Droni, robot, applicazioni digitali evolute, ma non solo.
La nuova frontiera – ha proseguito Gnesini – è quella rappresentata dalla meccanizzazione per le colture idroponiche ed aeroponiche». Proprio di questo ha parlato Emilia Arrabito, Direttore SVI.MED, presentando i risultati di un progetto relativo alla coltivazione di pomodori che ha interessato la Sicilia e la Tunisia. Sia l’idroponica che l’aeroponica sono coltivazioni fuori suolonell’ambiente protetto di una serra – ha spiegato Emilia Arrabito nel corso del suo intervento – ma mentre nel primo caso la pianta riceve le sostanze nutritive per irrigazione, nel secondo le riceve per nebulizzazione. «Entrambi i metodi possono essere considerati come una possibile soluzione al problema della riduzione della fertilità del suolo e alla necessità di ottimizzare l’uso delle risorse, poiché – ha concluso il direttore dello Svimed – oltre a ridurre il consumo di terreno, queste particolari tipologie di coltivazione ci hanno permesso anche di tagliare del 35% i consumi di acqua nonché l’impiego di fertilizzanti e ditrattamenti fitosanitari»