Export agroalimentare: con 2,2 mld di euro in valore Verona conferma la prima piazza. Seguono Cuneo e Milano

VERONA – Verona si conferma saldamente al primo posto nella classifica nazionale dell’export agroalimentare, davanti a Cuneo e Milano.

Nel primo semestre del 2024 la città scaligera svetta con 2,2 miliardi di valore esportato, anche se la crescita (+4,9%) è leggermente inferiore al dato nazionale (+7,1%). In Veneto, Treviso mantiene l’undicesima piazza, mentre Vicenza sale al quattordicesimo posto e Venezia retrocede alla ventesima.

Sono questi i dati più rilevanti del Report “Economia, agricoltura e agroalimentare” di Confagricoltura Verona, realizzato in collaborazione con l’Ufficio Studi CGIA di Mestre, presentato oggi alla Camera di Commercio, che confermano come Verona continui a mantenere un ruolo di leader nel comparto nonostante un andamento climatico non favorevole, con eventi estremi che hanno inciso su alcune produzioni.

Nell’export a recitare la parte da leone non sono solo i prodotti alimentari, ma anche le bevande, il cui valore negli ultimi sedici anni è raddoppiato. Si parla soprattutto di vino, pezzo forte del Veneto, che, con oltre 2,8 miliardi di euro, rappresenta più di un terzo (36%) dell’export di vino italiano nel mondo. Una quota che sale al 53%, considerando il Nordest. Dopo la crescita del 2022, l’andamento dell’export di vino in Veneto nel 2023 è stato stabile (-0,2%), mentre per i primi due competitor si verifica un certo calo: -5,6% per il Piemonte e -4% per la Toscana.

Verona si conferma la provincia leader in Veneto per l’agricoltura, con 1 miliardo di euro di valore aggiunto pari al 30% del totale regionale. Le stime per l’agricoltura veronese indicano il segno più nel 2023 (+1,9%), in controtendenza con il risultato negativo veneto e nazionale, e una decisa accelerata nel 2024, con previsioni di crescita robusta che dovranno tuttavia trovare conferma in un contesto climatico sempre incerto. In seconda posizione per valore aggiunto si conferma Treviso, con 829 milioni, seguita da Padova (464 milioni), Vicenza (388), Venezia (383), Rovigo (242) e Belluno (96).

 

Il Veneto si posiziona al terzo posto in Italia per valore della produzione dell’agricoltura, dopo Lombardia ed Emilia Romagna. Un peso pari all’11% del totale nazionale, anche se il 2023 è stato tuttavia un anno difficile con il valore della produzione sceso sotto i 7,3 miliardi di euro (-3% in termini nominali sul 2022). L’annata, come indicato dall’Istat, è stata segnata infatti da un clima avverso, che continua a penalizzare l’agricoltura. A risentirne sono stati soprattutto il settore frutticolo, soggetto ad un crollo a causa delle grandinate che hanno colpito le diverse coltivazioni, ma anche cereali come frumento e orzo.

A incidere sui bilanci delle aziende agricole sono però anche i costi di produzione, anche perché lo “sboom” registrato nel 2023 e 2024, rispetto alla fiammata dei due anni precedenti, non è stato sufficiente a farli tornare ai livelli pre-Covid. Nel 2024 i fertilizzanti sono del 50% più alti rispetto al 2019, ma in generale i costi sono più alti del 35% rispetto al 2019: il risultato coglie gli effetti degli incrementi dei fertilizzanti e dell’energia, che si sono trasferiti a cascata sugli altri costi delle imprese agricole. Dal 2019 al 2022 l’incidenza dei costi sulla produzione è salita di 5 punti percentuali, passando dal 53,2% al 58,2%, per scendere solo leggermente nel 2023 (57%).

Anche i tassi di interesse si mantengono elevati

L’aumento dei tassi da parte della Bce (2022-2023) ha determinato una progressiva ascesa del costo del denaro, che ha fatto seguito all’escalation di costi energetici e delle materie prime subite dagli agricoltori. Tali manovre di politica monetaria si sono presto trasferite sui tassi applicati dalle banche ai propri clienti. A novembre del 2023 i tassi d’interesse hanno raggiunto il massimo: per i nuovi prestiti fino ad 1 milione di euro per le società non finanziarie risultavano pari al 5,98% e quelli sopra il milione di euro erano pari al 5,30%. Dopo una lieve flessione a fine 2023, nel 2024 si nota una sostanziale stabilità con tassi superiori al 5%.

Commenta Alberto De Togni, presidente di Confagricoltura Verona: “Quello che emerge chiaramente da questo report è che Verona mantiene il primato nazionale dell’export agroalimentare, raggiunto nel secondo semestre del 2023. Avevamo detto che sarebbe stato difficile mantenere il risultato di vertice, e invece ci stiamo riuscendo anche grazie alla diversificazione della struttura produttiva della provincia di Verona, che grazie alla sua molteplicità e ampia quantità e qualità di produzioni riesce ad essere più flessibile e resiliente rispetto ad altre realtà provinciali. Da rilevare, purtroppo, che i costi di produzione, in primis energia, concimi e tassi di interesse, rimangono elevati e superiori al periodo pre-Covid. Questo ci porta ad un’incidenza sulla produzione salita di 5 punti percentuali dal 2019 al 2022, traducendosi in minore marginalità per gli agricoltori. Ci auguriamo che il consuntivo definitivo del 2024, che presenteremo nel gennaio prossimo, rispecchi le previsioni, con un bilancio positivo nonostante i problemi incontrati quest’anno tra tempeste, alluvioni, attacchi di insetti e quant’altro”.

Puntualizza Renato Mason, segretario di CGIA Mestre: “Condizioni climatiche e fitosanitarie sempre più difficili, unite a pandemie nel comparto zootecnico, impongono una profonda riflessione sul futuro del settore agroalimentare, che necessita sempre più di innovazioni e soluzioni per preservare la quantità delle produzioni.

Solo attraverso un sostanzioso piano di investimenti sarà possibile ridurre i costi di produzione e aumentare la redditività, continuando a garantire l’eccellenza del settore primario italiano; un piano che dovrà essere accompagnato, con lungimiranza, dai policy maker ma anche dal sistema bancario, favorendo costi del credito più contenuti. Nell’ultimo biennio gli elevati tassi di interesse hanno infatti condizionato il livello degli investimenti del settore primario: secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istat il 23 settembre, sono infatti scesi del 6% in termini reali nel 2022 e non sono più ripartiti nel 2023”.

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