ROMA – “Superare la grande frammentazione del mondo agricolo”. È questo l’obiettivo che Cristian Maretti, da poche settimane riconfermato alla guida di Legacoop agroalimentare, porterà avanti convinto che “solo attraverso le aggregazioni si potranno liberare risorse da investire nell’innovazione e sui mercarti esteri perché, inutile negarlo, in questi anni il settore agricolo, nonostante i progressi fatti, ha perso competitività”.
Una linea d’azione da perseguire “sicuramente in casa nostra, cioè nel mondo della cooperazione” ma che “dovrebbe coinvolgere anche le organizzazioni degli imprenditori, da Coldiretti a Cia, da Confagricoltura a Copagri. A loro dico troviamoci per definire “insieme strade e progetti che permettano di ottenere il maggior valore aggiunto agli imprenditori della terra”.
Non è la prima volta che nel mondo agricolo si sottolinea la necessità di aggregazioni. Perché questa volta dovrebbe aver successo?
“Dobbiamo essere capaci di cogliere l’attimo e la decisione della presidente della Commissione Ue di aprire un dialogo strategico sul Green Deal è un’opportunità unica. Una rivisitazione è sicuramente giusta, così come è giusto introdurre dei correttivi ma credo che l’architettura complessiva sarà salvaguardata e per questo dobbiamo attrezzarci”.
Da dove partire?
“Recuperando competitività, come ha suggerito il rapporto Draghi. E per noi significa, ad esempio, la fine del tabù rispetto alla genetica. L’uso delle Tea permette di recuperare in termini di produzione e resilienza anche rispetto ai cambiamenti climatici ma da parte dell’Ue serve una maggiore flessibilità per quanto riguarda il criterio di miglioramento genetico”.
Che impatto avrà l’intelligenza artificiale sull’agricoltura?
“La stiamo già sperimentando sulla gestione degli ordini e dei magazzini, sicuramente potrebbe migliorare le performance dell’agricoltura di precisione ma credo sia necessario un lavoro di affinamento più esperienziale per arrivare a recuperare e utilizzare nel mondo migliore le informazioni e le conoscenze degli agricoltori. Dobbiamo prepararci a questo futuro ma adesso la priorità e, appunto, rendere sostenibile la sostenibilità”.
Cioè?
«La cooperazione, proprio per le sue caratteristiche intrinseche, di un modello di integrazione lungo tutta la filiera è in prima linea per lavorare per un mondo più sostenibile dove l’agricoltura e la produzione del cibo giocano un ruolo fondamentale. Il settore agricolo, acquacoltura e forestale è in grado di svolgere il ruolo di cattura della Co2. Noi vogliamo arrivare ad aziende agricole ad impatto zero ma l’agricoltura non può giocare da sola questo ruolo”.
Chi dovrebbe sostenervi?
“L’obiettivo di azzerare emissioni e gas serra è collettivo e generale. Noi siamo pronti ma è fondamentale dare il giusto valore al cibo in quanto cibo giusto va di pari passo con prezzo giusto che non remunera solo i costi di produzione ma che tiene conto di tutte le dimensioni della sostenibilità: la sostenibilità ha un costo ed è inimmaginabile che questo debba ricadere completamente nell’anello debole della filiera”.
Come si traduce il “noi siamo pronti”?
“Già adesso esistono molte possibilità di chiudere dei cicli produttivi e industriali limitando le caratteristiche “estrattive”. In futuro questa percentuale aumenterà perché i limitati margini del settore rendono necessario il massimo dell’ottimizzazione economica”.
E per ottimizzare è necessario aggregare?
“Sì e ci sono esempi virtuosi. Sul biogas sono già possibili delle valutazioni abbastanza precise riguardo il miglioramento delle filiere zootecniche, un esempio è “Biometano di filiera” progetto di Granarolo per la realizzazione di 10 impianti consortili in 3 anni da 30 milioni di metri cubi anno di metano, 500mila tonnellate annue di fertilizzante naturale. Ma esistono anche altre forme di aggregazioni che possono permettere ad esempio di gestire le criticità del ricambio generazionale evitando l’abbandono della terra nelle aree marginali o l’ingresso di multinazionali”.
Cioè?
“Per essere competitivi serve anche una maggiore specializzazione e una strada potrebbe essere quella di separare la gestione dell’azienda agricola dalla proprietà dei terreni. Si possono valutare forme di affitto e di gestione associata o cooperativa ma io credo si necessario ragionare insieme a tutto il mondo agricolo per progettare questo cambiamento evitando che a decidere sia il libero mercato”.
Secondo lei ci sono le condizioni per una progettazione e sperimentazione comune?
“Si. La capacità di tenuta e di riorganizzazione produttiva dimostrata dal sistema agroalimentare durante l’emergenza sanitaria non sminuisce di certo le preoccupazioni per il pesante impatto sui bilanci di quest’anno ma rappresenta anche il punto di partenza per una ripresa che passa soprattutto attraverso progetti per l’integrazione, l’innovazione e la sostenibilità delle filiere. Un impegno che ha bisogno, naturalmente, di un supporto adeguato da parte delle nostre istituzioni”.