ROMA – L’Italia copre poco meno del 17% dell’economia del settore primario dell’UE. Un’incidenza, in termini di valore aggiunto, che pone il nostro Paese al secondo posto, appena dietro alla Francia (con il 17,4%), ma davanti a Spagna (14,7%) e Germania (13,8%).
Una posizione confermata anche nel 2023, nonostante la riduzione del 3,3% del valore aggiunto in termini reali (al netto cioè della dinamica dei prezzi), conseguente a un’annata agraria pesantemente condizionata dagli eventi climatici avversi. Tra questi, i noti fenomeni alluvionali del mese di maggio in Emilia-Romagna, Toscana e Marche, le gelate tardive, che hanno interessato il 40% delle aree agricole italiane, specie nel Nord-Est e lungo la dorsale appenninica, e le ondate di calore al Sud. Con un bilancio dei danni, a carico soprattutto di frutta, foraggi e cereali, stimato da ISMEA, per i soli eventi catastrofali (gelo e brina, siccità e alluvione) attorno al miliardo di euro.
Sono alcune delle evidenze emerse oggi nel corso della presentazione del Rapporto ISMEA 2024 sull’agroalimentare italiano, tenutasi presso il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, alla presenza del Ministro Francesco Lollobrigida.
L’annata 2023 è stata negativa per le coltivazioni legnose, che più di altre hanno risentito dell’impatto di grandine e gelo tardivo sulla produzione: frutta (-3%), ma soprattutto vino (-16,1%), che nel 2023 ha sperimentato la peggiore vendemmia dal dopoguerra ad oggi. Il consuntivo dell’anno si è rivelato negativo anche per patate (-4,4%), ortaggi (-1,5%), per il comparto florovivaistico (-3,8%) e per la zootecnia (-2,6% le carni bovine e -1,1% il latte). Le coltivazioni erbacee, al contrario, hanno registrato un andamento complessivamente positivo, in particolare le colture industriali (+8,5%) e i cereali (+6,6). In recupero la produzione di olio di oliva, aumentata in misura significativa (+36%) anche se lontana dai potenziali.
Contrariamente al settore primario, l’industria alimentare ha chiuso il 2023 con un risultato decisamente migliore: il valore aggiunto è aumentato del 16% a prezzi correnti e del 2,7% in volume, rispetto all’anno precedente, nel contesto di una dinamica molto positiva nel decennio 2014-2023, sia in termini nominali (+45%) che reali (+26%). La produzione l’anno scorso, ha registrato solo una leggera flessione (-1,7% rispetto al 2022), ma nel quadro di un trend decennale, comunque, positivo (+10,5%).
Il primo comparto dell’industria alimentare italiana è il lattiero-caseario, a cui si deve il 14,3% del fatturato complessivo; seguono ortofrutta (8,5%), elaborati a base di carni (8,1%), vino (7,6%) e macellazione di carni rosse (7,2%). Pasta e olio, prodotti di punta dell’export, coprono rispettivamente il 5,7% e il 5,1% del fatturato dell’industria alimentare italiana. Le dinamiche del 2023 sono positive per il lattiero-caseario (+3,4%), trainato da export e consumi interni; cioccolateria e confetteria (+1,6%), grazie alla spinta della domanda estera; mangimistica (+1,9%) e panetterie e pasticcerie artigianali (+0,9%). Si riducono, al contrario, i fatturati di oli e grassi vegetali (-10,5%), industria ittica (-9,2%), carni rosse (-7,5%), succhi di frutta (-7,9%) e gelati (-8,1%).
L’Italia si conferma al terzo posto per incidenza sul valore aggiunto dell’industria alimentare dell’UE, con una quota dell’11,9%, preceduta da Germania (leader con il 19,5%) e Francia (17,8%); quarta è la Spagna con il 10%.
Agricoltura e industria alimentare, realizzano insieme un valore aggiunto di 77,2 miliardi di euro, pari a circa il 4% del Pil nazionale, con il contributo maggiore riconducibile al settore primario (40,5 miliardi). Comprendendo anche le fasi a valle del sistema produttivo della distribuzione e della ristorazione, l’incidenza sul Pil sale al 7,7%, spingendosi fino al 15% se si includono i servizi di logistica, trasporto e intermediazione relativi alla filiera agroalimentare.