Distretti del cibo, per tutti i gusti. Stanziati 100 milioni di euro con aliquote dal 65% al 100%

FIRENZE – Altri 100 milioni di euro stanziati in favore dei distretti del cibo.

È questo il contenuto essenziale del decreto del Masaf n. 544040 emanato lo scorso 15 ottobre. La misura prevede aiuti che possono oscillare da 3 a 25 milioni di euro. L’aliquota di spesa ammissibile può andare dal 65% al 100%.

Dunque, è un bell’aiuto. L’ennesimo impulso dato dal ministero a una formula dell’aggregazione territoriale individuata come strumento strategico per la promozione di progetti di sviluppo locale. È anche un’occasione per fare qualche riflessione sullo stato dell’arte in materia di distretti in ambito rurale. Che, come forma di aggregazione, conoscono una moltiplicazione in qualche caso impetuosa. Per averne un’idea, basta dare un’occhiata al Registro nazionale dei distretti del cibo, presente sul sito del Masaf e periodicamente aggiornato. L’ultimo aggiornamento, datato 25 ottobre 2024, dà notizia di ben 231 aggregazioni sparse sul territorio nazionale. Numeri impressionanti, rispetto ai quali vanno fatti dei distinguo e alcune valutazioni, ma che comunque indicano la forte attrattività dello strumento. Va aggiunto che il dato si riferisce ai distretti ufficialmente riconosciuti dal ministero. Perché se invece si tiene in conto anche i distretti già riconosciuti dalle regioni ma non ancora dal Masaf, o quelli che tali si definiscono ma rimangono entro una dimensione informale, il conto si fa più alto. Quanto all’utilità della forma-distretto, si è in presenza di un fenomeno ancora giovane abbastanza per richiedere di non azzardare valutazioni definitive. Sicché, per il momento, è meglio limitarsi a una visione d’assieme sul fenomeno e provare a tracciarne una linea evolutiva.

Il decreto del 2001

La vicenda italiana dei distretti comincia col decreto legislativo n. 228 del 18 maggio 2001, intitolato “Orientamento e modernizzazione del settore agricolo”. Un testo che in modo esplicito si rifà alla normativa sui distretti industriali (articolo 36 della legge 5 ottobre 1991 n. 317). Dunque, l’idea è applicare in ambito rurale un modello che ha funzionato in campo industriale. L’articolo 13 del decreto è denominato “Distretti rurali e agroalimentari di qualità”, che sono le prime due formule di distretto in ambito rurale. Esse rispondono a due diverse ispirazioni: la formula del distretto rurale è più orientata verso la dimensione della comunità locale, con riferimento al complesso dei mestieri e dei saperi cui le attività agricole sono sollecitate a raccordarsi per fare sistema; viceversa, il distretto agroalimentare di qualità guarda più a una dimensione di mercato e alla competitività dei prodotti che possono mettere in campo un’idea di tipicità. Le due formule individuate fanno da modelli di riferimento.

Come sempre succede quando si tratta di modelli, l’applicazione nelle realtà concrete fa emergere che le loro caratteristiche sono molto più intrecciate di quanto il disegno istituzionale avesse preventivato. Mercato e comunità si intersecano e danno corso a mix molto diversi. Ciò che invece, rispetto al dettato di quell’articolo 13, ha trovato piena applicazione è il conferimento alle Regioni di un ruolo determinante nell’individuazione dei contesti in cui vi siano le premesse per costituire un distretto in ambito rurale. Di fatto, agli enti regionali è stato affidato un compito che, in gergo calcistico, possiamo definire “di scouting”. Compito di cui ciascuna regione ha fatto uso in modo diverso, come del resto era nello spirito della norma. Da ciò è derivata una composita produzione legislativa, che ha portato ciascun ente regionale o provincia autonoma a intervenire (anche a più riprese) con leggi apposite per la regolazione dei distretti, o a inserire il tema all’interno di leggi per il riordino del sistema agricolo regionale. L’effetto è stato ciò che, senza alcuna ironia, possiamo indicare come una “stagione creativa” dei distretti. Con questo esito le politiche nazionali in materia hanno dovuto fare i conti, misurandosi con una situazione che nel frattempo era andata molto avanti.

I distretti del cibo

Il nuovo intervento di un governo nazionale si è avuto con la legge n. 205 del 2017 (cioè, la legge di bilancio dell’anno 2018), che al comma 499 prova a rimettere ordine nella materia a partire dai criteri, e definisce una nuova denominazione-ombrello: distretti del cibo. Nell’articolo viene proposta una tipologia di distretti molto più ampia rispetto ai due modelli di partenza contenuti nel decreto legislativo del 2001. In particolare, spicca l’impulso dato al modello del distretto biologico e del biodistretto, che in seguito verrà fatto oggetto di interventi appositi. Non a caso è proprio il modello dei distretti bio a essere stato fra quelli maggiormente opzionati nelle recenti aggregazioni (oltre alla formula del distretto del cibo, che ormai è diventata la principale). Essi rispondono anche alla spinta che le politiche comunitarie danno per la promozione dell’agricoltura biologica. La soglia del 25% di SAU biologica, da raggiungere entro il 2030, rimane molto ambiziosa. Certamente complicata da raggiungere. Nel frattempo, le regioni e le province autonome si sbizzarriscono, sia pure in misura diversa. Soltanto le regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta non sono presenti nel registro del ministero. E quanto ai numeri si passa dalle 46 aggregazioni della Toscana (che, unica regione italiana, presenta ben 21 strade: del vino, dell’olio e così via) all’unica e storica aggregazione della Liguria (il biodistretto della Val di Vara). Quanto ai dati di tendenza, nei mesi più recenti si sono registrate accelerazioni in Sardegna (che ha raddoppiato le aggregazioni, passando dalle 11 aggregazioni di maggio 2023 alle 22 toccate con l’aggiornamento del 21 ottobre 2024, e nei casi delle Marche, che hanno più che raddoppiato le aggregazioni (da 4 a 9 tra maggio 2023 e ottobre 2024), e del Piemonte che addirittura le ha più che triplicate (da 4 a 13 nello stesso periodo).

E rimangono anche le perplessità sul gran numero di aggregazioni di cui il registro del Masaf dà notizia. Quante sono davvero attive e operanti? Ecco un interrogativo sul quale, prima o poi, il ministero dovrà fare chiarezza.

 

(La pubblicazione è stata realizzata da ricercatore con contratto di ricerca cofinanziato dall’Unione Europea – PON Ricerca e Innovazione 2014-2020 ai sensi dell’art. 24, comma 3, lett. A), della Legge 30 dicembre 2010, n. 240 e s.m.i. e del D.M. 10 agosto 2021 n. 1062)

 

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