ROMA – Il segmento dei vini a basso o zero contenuto alcolico presenta margini interessanti di sviluppo per il comparto vitivinicolo Made in Italy, ma va fornito ai produttori un pacchetto di provvedimenti di buon senso che siano in grado di sostenersi da soli con risorse economiche ad hoc, consistente e utili agli investimenti, e che sappiano accompagnare in modo strutturato le aziende del comparto nei processi di dealcolazione.
A dirlo è, oggi, il presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani, Cristiano Fini, al termine della riunione in materia, tenuta al Masaf dal ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida.
Per Cia, quindi, il decreto sui dealcolati va nella giusta direzione, ma sono necessari accorgimenti sostanziali. Non va sottovalutato, infatti, il contesto europeo dove la dealcolazione è autorizzata dal 2021 e quello mondiale con il comparto dei dealcolati già a quota un miliardo di euro negli Usa primo mercato, in termini di volumi, del vino italiano.
Detto questo -secondo Cia- bisogna prima di tutto finanziare il decreto e permettere alle imprese vitivinicole, così come già avviene per l’imbottigliamento del vino, di affidarsi al contoterzismo nazionale anche per arrivare al dealcolato, quindi con un tasso alcolico previsto non superiore allo 0,5%, o parzialmente dealcolato tra lo 0,5% e il 9%. Inoltre, stando alle potenzialità delle tecnologie attuali, non si può destinare il sottoprodotto risultato della dealcolazione al solo bioetanolo, ne va ampliata la possibilità d’uso a livello industriale. Queste, dunque, alcune delle richieste di Cia, che controbilancia la garanzia di tenuta e competitività delle imprese vitivinicole italiane, con la priorità certo di un testo normativo che rispetti la filiera e salvaguardi la qualità produttiva, tenendo fuori per esempio, come giusto, le denominazioni di origine.
Infine, ma non meno importante, la terminologia prevista. Cia suggerisce, a partire dal decreto, di sostituire l’espressione impropria dealcolizzati con dealcolati.