di Alberto Guidorzi
ROMA – Perché il consumatore parla del lavoro dei contadini esprimendo giudizi che sono solo luoghi comuni ed i media gli danno ascolto come fosse un oracolo?
Perché un agricoltore non si rivolge al suo sindacato agricolo e pretende che questi facciano pressione affinché i media facciano intervenire anche gli agricoltori alle trasmissioni in cui si parla di come veramente si produce il cibo che il consumatore mangia normalmente?
La risposta è purtroppo semplice: la professione agricola non ha voce in capitolo, l’hanno di più quei pochi sfigati che fanno agricoltura di nicchia e infiorano i loro discorsi di naturale, di genuinità, di fatto come una volta, di coltivazione biologica e senza chimica. Ascoltando le trasmissioni della domenica mattina sembra che esista solo l’agricoltura biologica e che gli agricoltori biologici sfamino la nazione, mentre sono una infima minoranza gli agricoltori italiani che producono realmente cibo; la maggioranza è quella che compra materia prima dichiarata biologica da uno stato estero, ma considerato avere una legislazione equivalente alla nostra, e dove sono utilizzabili sostanze chimiche da noi proibite.
Sono enormemente più numerosi in Italia ed anche all’estero i cosiddetti proprietari di terra incolta dichiarata sulla carta, ai fini di lucrare gli aiuti specifici, essere certificata biologica.
Adesso immaginiamo una conviviale con tanti invitati e che a tavola si trovino accostati, senza mai essersi conosciuti, un agricoltore ed un consumatore, che, seppure non essendo “tarato mentalmente” come certi animalisti, quest’ultimo abbia acquisito dei pregiudizi sul benessere animale. Immaginiamo che questo consumatore chieda al suo vicino cosa faccia nella vita e questo risponda che fa l’agricoltore-allevatore di maiali, ne alleva 1.500.
Sono arcisicuro che il consumatore pensi subito che è seduto vicino ad un “maltrattatore di animali” e glielo faccia anche capire, anche se nell’antipasto abbondante che gli hanno appena servito sia messo in bella mostra del buon salame, del bel prosciutto e della coppa ben speziata. Se non fossimo in presenza di un agricoltore “fantozziano”, questi dovrebbe reagire e dire al suo vicino: “scusa sai, ma se io non allevassi maiali tu i salumi del tuo piatto li vedresti con il lanternino”.
La risposta del consumatore (eludendo l’evidenza della sua contraddizione) potrebbe essere allora che lui, comunque, concede troppo poco spazio agli animali, perché li alleva in ambienti angusti (vi informo che erano molto più angusti e insalubri i porcili di una volta). Evidentemente il consumatore parla perché solo egregiamente influenzato da “Report” e pertanto l’agricoltore potrebbe chiedere di rimando di indicargli, secondo il suo parere, quanto spazio occorrerebbe lasciare ad ogni animale. Sicuramente non saprà rispondere perché non ne ha idea ed allora si rifugia nel dire che i 1.500 maiali dovrebbero stare allo stato brado e pascolare liberi, ma anche qui vi è un limite in quanto vi sono dei confini aziendali e quindi al consumatore si dovrebbe domandare quanta superficie destinare per il pascolo di ogni animale.
Ancora una volta il generico consumatore non avrà una risposta, visto che non conosce la materia. Gli si potrebbe chiedere allora: “Ti vanno bene 10 mq a capo?”. Probabilmente non conoscendo come si comportano i maiali tale superficie lo soddisferebbe. È però arrivato il momento di fargli presente che in poco tempo i 10 mq di terreno sarebbero totalmente rivoltati dal maiale e di erba non se ne vedrebbe più neppure un filo. Insomma il suo pascolo è andato a farsi friggere e quindi la superficie di 10 mq è insufficiente occorrerebbero almeno a 100 mq per far sì che in qualche punto ricresca erba. Finalmente la proposta diverrebbe accettabile per l’interlocutore avulso da qualsiasi conoscenza zootecnica, ma, a questo punto, sarebbe giunto il momento per sottoporgli qualche calcolo: come quello di fargli notare che 100 mq moltiplicati per 1500 maiali significano 15 ettari su cui non si può coltivare altro. Faccio notare che in Italia un’azienda di 15 ettari rappresenta 1,5 volte la media aziendale nazionale! Occorre poi tenere conto che se i 15 ettari non sono recintati i maiali sconfinerebbero nei terreni dei vicini e per di più occorrerebbe tenerli controllati se non voglio che distruggano la recinzione che, tra l’altro, è costata parecchio. L’erba a disposizione però non sfama del tutto i maiali (ad esempio il maiale di razza cinta senese mantenuta al pascolo non arriva a più di 60/70 kg, quando, invece, un suino in porcilaia raggiunge in tempi minori pesi doppi come minimo.
Insomma, occorre portare loro da mangiare due volte al giorno depositando il cibo in più punti del recinto, per evitare la concorrenza e lotte per il cibo. Di conseguenza tra tempo per la guardia, per il controllo del perimetro e per alimentarli, l’agricoltore è occupato per 365 giorni all’anno, comprese le domeniche. L’agricoltore allevatore adesso, però, dovrebbe dire al suo interlocutore: visto che io ti ho accontentato circa il benessere animale, tu mi devi dichiarare a che prezzo sei disposto a pagare la carne di questi maiali mantenuti così liberi. Ammettiamo pure che si sbilanci e risponda che è disposto ad accettare che il maiale all’agricoltore venga pagato il doppio del normale, non sapendo però che anche con prezzi di vendita doppi l’agricoltore chiuderebbe l’allevamento perché diverrebbe comunque antieconomico.
Insomma il suo antipasto rischierebbe o di venire dimezzato o di doverlo pagare il triplo, visto che durante la trasformazione altri operatori della filiera ne approfitterebbero per aumentare i margini. Insomma, tutte queste “beate anime”, fautrici del benessere animale, non vogliono l’allevamento intensivo, ma quando vanno al supermercato in qualità di consumatori scelgono i prodotti a basso costo e lasciano quelli più cari, per giunta si scandalizzerebbero per l’elevato prezzo. Volete il pollo a 2,5 euro al kg (6 euro già arrostito)?
Ebbene questo lo avrete solo se accettate l’allevamento intensivo, altrimenti se volete il pollo ruspante di cui sopra, cioè biologico, lo dovete pagare 24 euro al kg. È per questo che gli allevamenti biologici sono solo qualche punto percentuale; quando vi dicono che sono di più vi raccontano una balla, perché se fosse così il prodotto, essendo venduto obbligatoriamente molto più caro, non verrebbe acquistato. Non fatevi illudere dal pollo dichiarato allevato a terra (che in realtà significa solamente non tenuto in gabbia e tanto meno significa all’aperto e se ne possono sistemare ben 9 al mq, cioè anche a terra sono ben addossati gli uni agli altri) e specialmente quando la pubblicità ve lo piazza in mezzo all’erba di un prato e vi dicono che è allevato all’aperto.
Un pollo allevato all’aperto al massimo ha a disposizione qualche mq di terreno (se va bene!); se poi fosse inizialmente inerbito, vi assicuro che dopo massimo un paio di giorni lo spazio all’aperto a disposizione diviene totalmente nudo e su quel terreno, finché vi razzolerà il pollo, non crescerà più un filo d’erba. Ma non è finita qui, perché essendo all’aria aperta è molto più facile che il pollo venga in contatto con parassiti, ad esempio è più facile che si prenda l’influenza aviare e che quindi tiri le cuoia tra le sofferenze. Per quanto riguarda le uova il discorso è esattamente uguale, altrimenti le uova non sarebbero un cibo così poco caro. Io li ho mangiati i polli ruspanti quando mia nonna teneva il pollaio, ma con un pollo da 1 kg ci faceva tre pasti: un primo pasto lo faceva cuocendo collo, testa, fegato, cuore, ventriglio in un tegame con tantissime patate, e due altri pasti si consumavano con le due metà pollo o arrostite oppure cotte in acqua per avere prima il brodo e poi un pezzetto di carne lessata, tra l’altro se non era salata non aveva più nessun sapore.
La gallina si uccideva solo se non faceva più uova, o si ammalava e o vi era qualche componente della famiglia malato; signori con mezzo uovo e tanta insalata si cenava! Volete mangiare la salsiccia che arrostite su una griglia della vostra cucina che, molto probabilmente, non volete che spanda odore e che quindi vi è costata anche 500 euro? Allora dovete accettare allevamenti di maiali intensivi. Quando si mangiava la salsiccia di un maiale fatto pascolare (tuttavia sempre legato alla catena) la si infilava su un bastone appuntito e la si deponeva vicino alle braci, ma come cominciava a colare grasso si era pronti con delle fette di polenta sulle quali strofinarvi più volte la salsiccia. Il grasso non lo si poteva sprecare lasciandolo cadere sulle braci. Poi però, dulcis in fundo, la salsiccia lunga 10 cm si divideva a metà perché mangiassero due persone e mia nonna per consolarci ci diceva non è la salsiccia che “riempie”, è la polenta perché ne potete mangiare di più!
ALBERTO GUIDORZI
Agronomo. Diplomato all’Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l’UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l’Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell’agricoltura francese che italiana.