Carne bovina italiana: il 60% del prodotto consumato sulle tavole italiane arriva da estero. Anabic: Impegno per aumentare la produzione

PERUGIA – “Nonostante il comparto delle carni bovine italiane sia fortemente deficitario rispetto al fabbisogno nazionale, con circa il 60% della carne consumata proveniente da oltre confine, credo ci sia ancora un ampio spazio di crescita purchè si punti con decisione a una produzione di qualità reale e distinguibile che contempli anche l’ottimizzazione della gestione aziendale”.

Stefano Pignani, direttore di ANABIC (Associazione Nazionale Allevatori Bovini Italiani da Carne che rappresenta le razze Chianina, Marchigiana, Romagnola, Maremmana e Podolica) non ha dubbi: “i dati ufficiali Ismea – spiega – hanno evidenziato che la massiccia quota di animali e carni bovine importate dall’estero provoca un trasferimento verso gli operatori di altri Paesi di oltre 3,5 miliardi di euro/anno. Una cifra enorme che si potrebbe ridurre se le grandi stalle destinate all’allevamento dei vitelloni iniziassero a rivolgersi con più attenzione a quelle che producono vitelli delle razze autoctone italiane, permettendo peraltro al consumatore di riconoscere meglio la provenienza del prodotto acquistato”.

Secondo una stima della Fao (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) nel 2050 il consumo di carne bovina su scala mondiale raddoppierà rispetto a quello attuale. “Eppure nel nostro Paese registriamo una riduzione complessiva di bovini allevati per la produzione di carne che nel 2023 ha toccato -3% – puntualizza il direttore di ANABIC –  con un dato ancora più allarmante rispetto il livello di autoapprovvigionamento, passato negli ultimi cinque anni dal 53,9% al 40%. Questo significa che il 60% della carne bovina consumata in Italia arriva da Paesi come la Polonia, la Francia, l’Olanda, la Spagna, la Germania. Semplificando, possiamo affermare che se un gruppo di dieci amici va al ristorante per gustare una bistecca, almeno sei di loro mangeranno carne di provenienza estera, indipendentemente da ciò che il ristoratore proporrà”.

Ma, oltre ad auspicare una maggiore attenzione degli ingrassatori italiani verso i vitelli delle nostre razze autoctone, quali possono essere le strade da intraprendere per aumentare la produzione di carne bovina totalmente nazionale?

“Purtroppo la profonda frammentazione della filiera – spiega ancora Pignani – rappresenta un aspetto molto penalizzante quando invece ci sarebbe più bisogno di maggiore sinergia e collaborazione tra allevatori, macellatori, sezionatori e distribuzione. Parallelamente, penso che gli interventi pubblici dovrebbero riguardare politiche volte ad aumentare il numero di vacche nutrici, in particolare appartenenti alle razze autoctone, attraverso contributi mirati e destinati a rendere economicamente sostenibile la linea vacca-vitello interamente italiana allevata in modo estensivo, non solamente con un incremento dell’importo del premio legato alla Pac peraltro già esistente, quanto attraverso sostegni alla riorganizzazione, all’innovazione e all’efficientamento dell’allevamento estensivo che rappresenta uno strumento indispensabile per la salvaguardia e il mantenimento dei territori più difficili e svantaggiati. È indispensabile perseguire la strada della valorizzazione delle razze bovine autoctone italiane e, attraverso i marchi Igp e Sqnz, valorizzare la carne prodotta per esaltare e certificare la qualità del processo produttivo, fornendo al consumatore informazioni semplici, chiare ed efficaci”.

Sono circa 5.000 gli allevamenti associati ad ANABIC, distribuiti in 18 regioni, per un numero complessivo di 160.000 capi di bestiame, il 70% dei quali allevati al pascolo, dove la loro presenza costituisce un insostituibile presidio del territorio, soprattutto per la tutela della biodiversità: un patrimonio unico da potenziare e incentivare anche attraverso politiche mirate e lungimiranti.

Nel suo ruolo di tutela delle produzioni zootecniche delle razze bovine che rappresenta, ANABIC non fa solo riferimento al legame col territorio, alla sostenibilità delle aziende associate, alla difesa di un importante patrimonio culturale.

“Da sempre siamo impegnati in un processo di miglioramento genetico delle razze che va proprio nella direzione di quella sostenibilità, trasparenza e tracciabilità sempre più richiesta dal consumatore attento che chiede informazioni chiare. L’attività del nostro Centro Genetico ne è una dimostrazione – conclude Stefano Pignani – così come la conservazione nella nostra Banca del DNA, unica in Italia e forse anche in Europa, di ben 750.000 campioni biologici di tutti gli animali delle razze rappresentate da ANABIC che si traducono in un baluardo ai controlli sulla qualità della carne, oltre a costituire un importante ostacolo alle potenziali frodi che si potrebbero verificare”.

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