VERONA – “Un mercato depresso dall’incertezza”. È la denuncia dei principali produttori di vini No-Lo e dei fornitori di tecnologie e macchinari per la dealcolazione italiani intervenuti oggi a Vinitaly al convegno “Tecnologia 0.0: produzione e innovazione a confronto”, organizzato da Unione italiana vini (Uiv) in collaborazione con Veronafiere.
A inibire la produzione, oltre all’ambiguità delle disposizioni relative l’obbligo di separazione degli spazi che dovrebbe risolversi a breve, il pasticcio normativo che lascia il comparto in balia dell’incertezza sull’applicazione delle accise in attesa del decreto interministeriale, previsto a partire dal 1° gennaio 2026.
“Stiamo parlando dell’atterraggio su Marte mentre in Italia non abbiamo ancora il binocolo per vedere la luna – ha dichiarato Martin Foradori, ceo di Tenuta J. Hofstätter, una posizione condivisa non solo dagli altri produttori intervenuti alla tavola rotonda, ma anche dai fornitori di macchinari e tecnologie per il processo di dealcolazione.
“In Italia c’è molto fermento ma abbiamo solo iniziato a vendere impianti – ha commentato il direttore generale di VasonGroup, Albano Vason -, all’estero è più facile. Stiamo lavorando molto bene in Spagna e ora si è aperto il mercato anche in Argentina”. “Ci sono sicuramente aziende italiane interessate, ma stiamo aspettando che sia pronta la normativa”, ha confermato Massimo Pivetta, sales director Wine di Omnia Technologies.
Per Pierluigi Guarise, ceo di Collis Wine Group: “Ci viene detto di andare per tentativi e questo comporta un rischio anche reputazionale, ci crederemo veramente nel momento in cui verrà fatta chiarezza su tutta la normativa, dalla produzione all’etichettatura”. Non mancano le conseguenze sul fronte dei costi: “Andare a dealcolare all’estero mina la nostra competitività sul mercato”, ha dichiarato Claudio Galosi del Gruppo Argea.
Rimane all’estero la produzione anche di Mionetto, che, come dichiarato dal consigliere delegato e direttore tecnico, Alessio Del Savio, sta lavorando con vini a base Glera per “accorciare sempre di più le distanze con il Prosecco, strizzando l’occhio alla denominazione”. E proprio sulla qualità del prodotto vino si gioca la partita che vedrà i No-Lo distanziarsi dal segmento dei drink a bassa gradazione.
“Dobbiamo uscire dal mondo delle bevande dove siamo relegati in una competizione a perdere con le multinazionali – ha detto Fedele Angelillo, ceo di Mack & Schuhle Italia SpA -. Per fare questo dobbiamo continuare ad insistere sulla qualità, anche a partire dalla vigna”. “Sul fronte della qualità abbiamo già fatto passi da gigante – ha concluso Marzia Varvaglione, presidente del Ceev e di Agivi -. I vini No-Lo sono proposte non solo complementari ma che ci consentono di differenziare il rischio in un contesto estremamente volatile dei consumi. Ora, come produttori e imprenditori, dobbiamo capire come tutelare questi vini e come inquadrarli in modo che siano facilmente e chiaramente riconoscibili anche per i consumatori”.
Secondo l’analisi dell’Osservatorio del Vino Uiv-Vinitaly presentata ieri a Vinitaly, il mercato italiano dei vini No-Lo (no e low alcohol) vale oggi solo lo 0,1% sul totale delle vendite di vino, per un controvalore di 3,3 milioni di dollari che – secondo le stime Iwsr – dovrebbe raggiungere i 15 milioni nei prossimi 4 anni, con un Cagr atteso del 47,1%.